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Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2014 alle ore 08:13.

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a Erano le ciminiere a delineare, nell'Ottocento, il profilo delle città. Oggi sono i palazzi e i capannoni, simboli del mix tra terziario e manifatturiero. Nell'economia della conoscenza quali saranno i luoghi che disegneranno il profilo del futuro? Per scoprirlo basta seguire le tracce dei luoghi dell'innovazione e della creatività, come i fablab, i coworking, gli incubatori, i luoghi culturali come le esposizioni d'arte, co-housing, nuove residenze d'artista, luoghi di nuovo welfare. Queste attività stanno trovando una nuova casa nei tanti luoghi abbandonati disseminati per l'Italia. All'insegna della sostenibilità.
Il paese dispone di un patrimonio di oltre sei milioni di beni inutilizzati o sottoutilizzati (significa più di due volte la città di Roma) tra abitazioni ed altri immobili pubblici, parapubblici e privati, come ex fabbriche e capannoni industriali dismessi, ex-scuole, asili, oratori e opere ecclesiastiche chiuse, cinema e teatri dismessi, monasteri abbandonati, spazi di proprietà delle società di Mutuo Soccorso e delle Cooperative Case del Popolo, Cantine Sociali, colonie, spazi comunali chiusi (sedi di quartiere ed altri spazi di proprietà quali lasciti), beni confiscati alla mafia, "paesi fantasma". E la lista dell'Italia lasciata andare a se stessa è lunghissima.
È proprio in questi luoghi marginali, in questi residui della storia che si stanno scrivendo pezzetti di futuro, fatto di innovazioni, micro-impresa e talenti creativi, accompagnata sempre dall'entusiasmo delle comunità. «Non è la grande industria, l'infrastruttura che in altre epoche cambiava i destini di un paese. Si tratta di nuove nicchie di mercato, magari piccole e locali, ma che funzionano» spiega Giovanni Campagnoli, che ha raccolto le migliori best practice sul sito www.riusiamolitalia.it. Ne emerge un'Italia in fermento, con luoghi marginali che tornano a rinascere grazie soprattutto alla spinta di giovani. Non si tratta solo di presidi sociali sul territorio ma di vere e proprie attività economiche nell'ambito del welfare, dell'educazione, del turismo, della green economy. «I giovani mettono in campo piani di sostenibilità economica con startup sociali e culturali – aggiunge Campagnoli, autore del libro Riusiamo l'Italia (edito da Il Sole 24 Ore) –. Puntano alla diversificazione delle entrate, dipendono sempre meno da enti pubblici e sono più autonomi, grazie alla raccolta fondi, alle fondazioni ex bancarie, alla partecipazione a bandi». Così ad esempio a Rovereto lo spazio giovani Smart Lab, gestito da un'associazione di promozione sociale, nei primi sei mesi di avvio ha oltre 3.200 soci, l'80% under 35, occupandosi di programmazione musicale, artistica, incubatore di imprese, spazi co-working, sale prove, culture giovanili (generando un fatturato previsto, per questo primo anno, di circa 250mila euro).

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