Tecnologia

La rete deve restare un common

  • Abbonati
  • Accedi
Social

La rete deve restare un common

New Clues. Sono online dall’8 gennaio i nuovi indizi di The Cluetrain Manifesto. Era il 1999 quando, strizzando l’occhio alle 95 tesi luterane, spuntava sul web un documento a otto mani che sosteneva come internet avrebbe rivoluzionato i rapporti tra consumatori e imprese: «i mercati sono conversazioni».

Sedici anni dopo, le conversazioni sono diventate mercati: due dei quattro autori del 1999, David “Doc” Searls, tra i maggiori difensori al mondo dell’open source, e David Weinberger, codirettore dell’Harvard Library Innovation Lab, sono tornati con 121 nuove tesi, parafrasando direttamente e ironicamente la narrazione biblica. «Eravamo giovani, nel Giardino» di un’internet pensata e realizzata con degli standard di architettura di connessione aperta, decentrata, distribuita. Un bene comune, un common, che non appartiene a nessuno e di cui nessuno è sovrano. «Internet siamo noi, connessi» grazie a un insieme di accordi, «protocolli che nello spirito del giorno potremmo chiamare comandamenti. Il primo di questi è: la tua rete sposta tutti i pacchetti più vicini alla destinazione senza favoritismi o ritardi in base a origine, provenienza, contenuto, o intento».

La neutralità tecnologica come proprietà costitutiva della rete, fino a oggi, «ha lasciato internet aperta a ogni idea, applicazione, business, richiesta. Non c’era uno strumento con uno scopo così generale dai tempi del linguaggio. Internet non serve a niente in particolare, è progettata per tutto».

Se nel 1999 il focus era ripensare le relazioni di mercato, oggi è chiamato in causa lo «stare insieme: causa e soluzione di ogni problema», ovvero le relazioni tout court. Per Searls e Weinberger, infatti, internet non è un medium, un contenuto, una «cosa», «i fili, le fibre, i device», ma un mondo ampio, la possibilità di un’ambiente in cui connettendosi si entra in relazione, venendo apprezzati per le proprie differenze. «Internet siamo noi connessi» perché sono gli esseri umani a rimediare i messaggi in base ai valori a cui tengono: «prendersi cura, nel senso di avere a cuore, è la forza motrice di internet».

Ma non ne è l’unico valore. «Oh, fratelli e sorelle, ci siamo allontanati» dal Giardino: i pericoli mortali per Searls e Weinberger non derivano più, come nel 1999, da «gli Sciocchi», i businessmen che «non avevano capito di non aver capito internet», ma dai Predoni che hanno capito le potenzialità della rete fin troppo bene, «saccheggiandola, estraendo i nostri dati e arricchendosi alle nostre spalle».

Il pericolo più grande, per gli autori, è la nostra indifferenza all’attacco alla neutralità come diretta conseguenza del pensarsi come un’orda, una massa indifferenziata di persone, e non come individui distinti, differenti e liberamente relazionanti. Un’orda che lascia che le conversazioni demonizzino l’altro, in cui le tribù, “costrette” in rete a stare insieme a distanza zero, si attaccano vicendevolmente. In cui alla connessione si preferisce il controllo, la «Guantanamo del web» attraverso app non neutrali che sfruttano la forza attrattiva di internet solo per alcuni.

La rete è «come la gravità, che ci tiene insieme», ma il «superpotere di internet», ovvero la connessione senza permesso da link a link laterale, neutrale e non gerarchico che ha consentito la crescita esponenziale del web, è in pericolo. Dopo sedici anni, riassumono gli autori, «c’è molta più musica, i politici devono spiegare le loro posizioni molto di più, si può trovare una spiegazione a tutto quello che non capiamo (con relativi dibattiti e discussioni), ci si scambia pareri sugli acquisti senza passare dall’azienda, si possono ascoltare corsi universitari gratuitamente» ma occorre vigilare perché «un commercio non è commercio equo se non sappiamo a cosa rinunciamo. Mi hai sentito, Privacy in cambio di Sicurezza?». La cultura hacker sente che «gli incentivi economici e politici in atto per metterci a nudo sono così forti, che ci converrà investire in biancheria intima di carta stagnola». E chiama all’azione e alla riflessione consapevole.

© RIPRODUZIONE RISERVATA