Tecnologia

Immigrati artefici della nostra fortuna

  • Abbonati
  • Accedi
Social

Immigrati artefici della nostra fortuna

  • –Antonio Larizza

Che cosa hanno in comune Google, Intel, eBay e Facebook? Sono tutte società fondate da immigrati: Sergey Brin (Google), nato in Russia; Andy Grove (Intel), nato in Ungheria; Pierre Omidyar (eBay); nato in Francia ed Eduardo Luiz Saverin (cofondatore di Facebook), nato in Brasile.

Insieme, queste quattro società americane vantano una capitalizzazione di Borsa di 803 miliardi di dollari e danno lavoro nel mondo a circa 190mila persone. E negli Usa sono solo la punta di un iceberg.

Uno studio della «Kauffman Foundation» ha calcolato che, tra le imprese americane che hanno ricevuto investimenti da parte di fondi di venture capital, quelle fondate da imprenditori immigrati hanno creato, mediamente, 150 posti di lavoro per impresa. Nei settori più innovativi (ingegneria, hi-tech), queste imprese impiegano circa 560mila lavoratori e annualmente generano vendite per 63 miliardi di dollari (i dati si riferiscono al 2012).

Le statistiche dicono che oggi negli States gli immigrati hanno quasi il doppio delle probabilità di avviare attività imprenditoriali, rispetto ai nativi. Tutto questo è accaduto grazie alla nota capacità di attrarre idee e imprenditori che contraddistingue “aree magiche” degli Stati Uniti – prima fra tutte la Silicon Valley – ma in assenza di una legislazione omogenea.

Gli Stati Uniti non dispongono di un visto per imprenditori. Oggi, il canale più utilizzato da chi poi avvia un’impresa è quello dei visti concessi a studenti stranieri per frequentare l’università (oltre mezzo milione di permessi nel 2013). Due programmi gestiti dal Department of Homeland Security permettono agli studenti stranieri e ai neolaureati di lavorare in aziende attive in settori collegati alla facoltà scelta, per tutta la durata del corso di studi e fino a 29 mesi dopo il conseguimento della laurea. Per chi si forma nel campo della ricerca sulle cellule staminali, è prevista un’ulteriore proroga di 17 mesi.

Sulla base di questo fenomeno, la «Kauffman Foundation» ha calcolato che se gli Usa istituissero per legge un visto per startup che estendesse i vantaggi concessi agli studenti stranieri anche agli aspiranti imprenditori stranieri (uno “startup visa” come quelli introdotti da Australia, Canada, Spagna e Regno Unito) potrebbero creare da 500mila a 1,6 milioni di american jobs. Nuovi posti di lavoro.

Dati che fanno riflettere e che suggeriscono di guardare con occhi nuovi all’immigrazione – e alle politiche che ne regolano i flussi –. In un mondo globalizzato, anche il talento è mobile. E se un imprenditore immigrato non avvia la sua impresa nel nostro Paese, probabilmente avvierà il suo business altrove. Certo, molto dipenderà da lui e il successo non sarà scontato. Ma se, alla fine, dalla sua idea nascerà una nuova Google, o una nuova Intel, o anche solo una solida Pmi capace di creare lavoro e sviluppo, avrà fatto la propria fortuna. Ma anche quella della nazione che sarà stata capace di attrarlo. E della comunità che avrà scelto di non respingerlo.

antonio.larizza@ilsole24ore.com

© RIPRODUZIONE RISERVATA