L’Expo di Milano, con il tema «Nutrire il pianeta, energia per la vita», sarà il primo grande Expo che incorpora la riflessione sulla potenza del limite. E non solo. Ecco le 9 parole chiave che lo configurano.1. Discontinuità. Gli Expo dagli albori e per tutto il XX secolo sono stati eventi di celebrazione della potenza della tecnica e dell’economia come motori di un progresso illimitato. Il nuovo secolo pone il tema dei limiti dello sviluppo come questione centrale del nostro tempo. Limiti ambientali, economici, sociali che pongono la dialettica tra “potenza e limite” al centro di una grande riflessione sul modello di sviluppo. Scrive Papa Francesco: «La pienezza è la brama di possedere tutto, il limite la parete che ti si frappone davanti. Nessuna delle due va negata, né l’una deve assumere l’altra. Vivere questa tensione continua tra pienezza e limite favorisce il cammino dei cittadini».2. Fare società. Questo salto di paradigma pone come questione centrale: quale economia e quale tecnica per la società che viene avanti nel rapporto complesso tra flussi globali e società locali. Cosa vi è di più locale, di più terreno dell’agricoltura? Questa discussione sul modello di sviluppo non potrà che tenere conto dell’idea forte di K. Polany che l’economia nasce nei rapporti sociali. 3. La Carta di Milano. Expo sta preparando, come principale atto di legacy politico-culturale, la Carta di Milano con 4 temi di riflessione da condividere nei sei mesi dell’evento: sviluppo sostenibile; culture identità e stile alimentare; agricoltura economia del cibo; sviluppo urbano tra smart e slow city. Si tratterà di capire quanto questi 4 assi tematici avranno voce e spazio nell’agenda di Expo e quanto riusciranno a mettersi in mezzo tra economia e società sensibilizzando le agende della politica. 4. Identità allargata. Per sei mesi esisteranno a Milano 147 Paesi del mondo. Quest’impatto che riguarda tutto il sistema Paese può essere levatrice di un’identità allargata, svolgendo una funzione maieutica per Milano e per il sistema Italia. Una grande occasione in controtendenza rispetto alla spinta alla chiusura e al rinserramento che attraversa la grande crisi nella geopolitica che qualcuno vorrebbe segnata dallo “scontro tra religioni e civiltà”. 5. Le dolci potenze italiane. Se si assume la potenza del limite come paradigma, ne discende che l’intelaiatura con cui rapportare il nostro Paese al mondo durante Expo non può che essere un orgoglio da soft power. Declinato dal nostro saper fare che affonda in quello che De Rita chiama lo «scheletro contadino», il sapere contadino fondato su conoscenza tacita e reti corte che ha innervato il nostro made in Italy. Questo può alimentare filiere del food che partono dai luoghi e producono valore utilizzando reti e saperi globali. Un saper fare dolce rispetto all’hard power della finanziarizzazione dei beni comuni e dell’accaparramento delle terre. Siamo una terza via possibile di cooperazione e scambi nel mondo. 6. Green economy/green society. Non si dà l’una senza l’altra. La metamorfosi del modello di sviluppo sta nella narrazione della green economy, oggi scatola semantica buona per tutti gli usi. Per me è in primo luogo il capitalismo che incorpora il limite nel suo processo di accumulazione. I temi evocati dalla Carta di Milano, dallo sviluppo sostenibile all’economia del cibo, avranno senso e significato se sapranno temperare il finanz-capitalismo dei flussi che desertificano terre, territori e società locali. 7. Il territorio. L’impatto dell’Expo andrà valutato non solo rispetto alla cultura e alle reti in uscita verso la globalizzazione. Ma anche come enzima che ha fatto reagire i soggetti resilienti sul territorio. L’esposizione che verrà, a fronte delle difficoltà di legittimazione nelle vicende del sito espositivo, ha funzionato da catalizzatore di capacità diffuse di progettazione dello sviluppo, sia da parte di attori sociali che dalla microfisica dei poteri locali. Sul territorio è emersa una voglia di appropriarsi dei temi di Expo, leggendoli come un possibile reagente nelle trasformazioni. 8. Nuova composizione sociale. La vibratilità del territorio dipende molto dai nuovi soggetti che cercano spazio nel delineare frammenti di società futura. Vale la pena di farne un elenco schematico per i lettori di «Nòva24», abituali frequentatori delle pagine che delineano l’intreccio tra innovazione e saper fare. I soggetti stanno nei flussi delle migrazioni, nelle nuove generazioni digitali, nei creativi messi al lavoro e nei giovani ritornanti che, con imprese innovative, rianimano parchi e territori ai margini dello sviluppo. Fanno cooperative di comunità e imprese sociali che fanno welfare community, riattualizzando il patrimonio della coesione sociale. Si danno forma di startup o di fab lab che nascono dal basso nel tessuto delle città ricche e della campagna florida. 9. La povertà. Come tutti i grandi eventi nella società dello spettacolo globale, anche l’Expo, nonostante il tema lo costringa ai fondamentali dell’agricoltura, della fame, della nuda vita, può essere tentato di nascondere sotto il tappeto il diritto al cibo. Viviamo in un mondo nel quale le diseguaglianze sociali aumentano e si ridefiniscono. L’Expo dei contenuti appena celebrato a Milano si è aperto con il messaggio del Papa e dell’ex presidente del Brasile Lula sul progetto «Fame 0». È un buon inizio. Per far sì che la Carta di Milano assuma la questione della povertà come la vera questione politica.
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