Tecnologia

Non solo Google: il Fisco tratta con i grandi del web, da Amazon ad…

  • Abbonati
  • Accedi
la tassazione dei profitti in italia

Non solo Google: il Fisco tratta con i grandi del web, da Amazon ad Apple

«Allo stato delle attività di controllo non sono state perfezionate intese con la società, che si è riservata di fornire dati ed elementi che consentano di quantificare la redditività in Italia delle proprie attività economiche». La precisazione sulla notizia di un accordo tra Google e il Fisco italiano da 320 milioni di euro pubblicata ieri dal Corriere della Sera è stata affidata a questa nota firmata dal procuratore della Repubblica del tribunale di Milano, Edmondo Bruti Liberati.

La stessa Google ha fatto sapere attraverso un portavoce che «non c'è l'accordo di cui si è scritto. Ma continuiamo a cooperare con le autorità fiscali».
La notizia e le due smentite, in realtà, cadono in un momento molto delicato del “confronto” che sta avvenendo da quasi tre anni tra l'amministrazione finanziaria italiana e le multinazionali del web (e non solo di questo settore) che sono finite nel mirino per le modalità organizzative con cui operano nella Penisola e soprattutto per i modelli di pianificazione aggressiva con cui finiscono per eludere, anche attraverso il cosiddetto Double Irish, il pagamento delle imposte in Italia trasferendo i profitti in paradisi fiscali o paesi a fiscalità privilegiata (a partire dall'Irlanda).
Confronto di cui c'è traccia nelle stesse parole di Bruti Liberati, il quale ricorda che le «risultanze degli accertamenti nella indagine penale sono state trasfuse nell'attività di verifica fiscale in corso dalla Gdf, previo nulla osta rilasciato dalla Procura». Successivamente «è stato intrapreso il contraddittorio con i rappresentanti del gruppo Google e i relativi consulenti con riguardo alle annualità dal 2008 al 2013» (da cui sarebbe emerso un imponibile di 800 milioni). La nota della Procura di Milano si conclude, precisando, che «all'esito saranno tratte le valutazioni conclusive sia sotto il profilo fiscale che sotto il profilo della qualificazione penale».

Il contraddittorio instaurato con Google è uno dei tanti fronti su cui si sta procedendo da Amazon ad Apple (mentre Microsoft avrebbe con l'agenzia delle Entrate una procedura di ruling internazionale per la determinazione dei prezzi di trasferimento infragruppo, in maniera da tenersi al riparo da sgradite sorprese) a Ryanair.
A finire sotto la lente degli 007 del Fisco sono, appunto, i modelli organizzativi delle multinazionali che “dirottano”, sfruttando le lacune della normativa fiscale domestica, i propri ricavi verso le sedi aperte in paesi a fiscalità privilegiata.

L'attenzione dell'amministrazione finanziaria è rivolta, in primo luogo, a “intercettare” le stabili organizzazioni. Come nel caso di Google Italy, si punta a riqualificare la tipologia di business di quelle aziende globali che hanno sede all'estero e operano nella Penisola con diramazioni non autonome o mere rappresentanze fiscali. In questo modo, i ricavi maturati vengono trasferiti oltreconfine e la quota di fatturato su cui si versano le imposte in Italia è ridotta al minimo. Per il Fisco italiano, al contrario, l'attività del Gruppo come la raccolta della pubblicità online viene svolta stabilmente in Italia,
In secondo luogo, le contestazioni del Fisco attengono al transfer pricing, vale a dire alle politiche dei prezzi dei servizi o dei beni acquistati e venduti tra le strutture italiane e le altre società del gruppo con sede all'estero che determinano di fatto una riduzione della base imponibile italiana. L'amministrazione finanziaria sta verificando i contratti tra le realtà italiane e le società dello stesso Gruppo residenti in altri paesi per confrontare i prezzi praticati dalla casa-madre rispetto a quelli praticati sul mercato per le stesse operazioni tra soggetti indipendenti.

Per farsi un'idea dei danni causati dal cosiddetto profit shifting alla base imponibile italiana, basta rileggere il rapporto della Guardia di Finanza sui risultati della lotta all'evasione internazionale del 2012: oltre 15 miliardi di euro scoperti dalle Fiamme Gialle derivano, infatti, da stabili organizzazioni “non dichiarate” di imprese estere che hanno operato nella Penisola (13,4 miliardi) e da illegittime forme di triangolazione con Paesi off-shore legate a manovre di pianificazione fiscale aggressiva (1,7 miliardi). Queste procedure hanno eroso il Pil italiano nascondendo ricavi o facendo valere irregolarmente costi deducibili e hanno sottratto all'Erario oltre tre miliardi di imposte.

La stessa agenzia delle Entrate da tempo ha selezionato «gruppi multinazionali attivi nel settore dell'elettronica e dell'e-commerce» da sottoporre a controllo. Ma le singole iniziative possono far poco, come ha ricordato Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera: « Le scelte fatte in ordine sparso dall'Italia con il ruling, dalla Francia con gli accertamenti, dalla Gran Bretagna con la Diverted profits tax, dalla Germania con gli accordi tra amministrazioni fiscali e multinazionali del web, danno il senso dell'ennesimo sfilacciamento dell'Europa. La scelta inglese di tassare i redditi delle web companies del 25% sarebbe sicuramente quella più semplice anche se metterebbe definitivamente fine all'idea di un fisco europeo omogeneo».

Di fatto, se le multinazionali potrebbero attendere in Italia la depenalizzazione dell'abuso del diritto prefigurata dalla delega fiscale riducendo al minimo il prelievo , sono sottoposte dal 2013 alla pressione internazionale e alle iniziative di G-20 e Ocse che con il piano Beps (Base erosion and profit shifting) che dovrà essere implementato entro la fine del 2015, mira a contrastare questi fenomeni stabilendo regole uniche e trasparenti condivise a livello internazionale (si veda l'articolo a fianco). Non a caso come riferisce il Financial Times Google sta per riorganizzare le sue strutture europee.

© Riproduzione riservata