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Corsa ai BTp, cala lo spread

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Corsa ai BTp, cala lo spread

  • –Vittorio Carlini

Nell’asta dei BTp decennali collocati titoli per 4,5 miliardi al tasso minimo record dell’1,36%. Sui mercati europei è corsa ai bond dei Paesi periferici, in vista degli acquisti Bce. Spread BTp-Bund in calo a 106, Borse positive (Milano +1,04%). pagina 3

È sempre più effetto-Bce. La stessa Maria Cannata, capo della direzione del Debito pubblico del MeF, lo ha confermato. «Adesso che sono stati annunciati i dettagli del Qe, i quali hanno sorpreso in positivo il mercato - ha detto ieri in un’audizione alla Camera -, assistiamo ogni giorno a un ribasso dei tassi» oltre che ad un «grande appetito per i titoli della periferia».

A fronte di un simile contesto non stupisce (più di tanto) il risultato delle aste sui governativi di Roma. Nell’ultima seduta sono stati collocati 4,5 miliardi di BTp a 10 anni con un rendimento lordo in calo ai minimi storici dell’1,36% (era stato l’1,62% nella vendita precedente). La dinamica, a ben vedere, è stata replicata nell’asta sul bond a 5 anni: qui, a fronte del rapporto tra domanda e offerta di 1,59, il tasso lordo per i 2,5 miliardi di governativi assegnati è sceso allo 0,56% (dallo 0,89% di gennaio). Di nuovo un rendimento sui minimi. Insomma le vendite (cui devono aggiungersi 1,75 miliardi di CctEu 2020 al tasso dello 0,62%) sono state un successo. Il quale, ovviamente, si è riflesso sul mercato secondario.

Il decennale italiano, in serata, ha chiuso con lo yield proprio dell’1,36% (ennesimo record al ribasso). Un rendimento che, confrontato con quello del Bund tedesco (0,3%), ha «portato» lo spread tra i due titoli a quota 106 punti base (a fronte dei 114 basis point di due giorni fa).

L’andamento positivo sul debito pubblico è stato condiviso anche da Madrid. La scadenza 2025 del titolo spagnolo ha archiviato la seduta con un rendimento dell’1,28%. Lo spread sul Bund, dal canto suo, è sceso sotto la soglia dei 100 punti base.

Al di là dei numeri in se appare chiaro che il trend è conseguenza, per l’appunto, del prossimo avvio del Qe. Ciò detto ieri hanno però giocato un ruolo altri market mover. Quali? È presto detto. In primis, ha inciso la fiducia economica nell’Ue. L’indicatore, definito dalla Commissione, è salito in febbraio a 102,1 (dal 101,4 di gennaio). Il dato, seppure in linea con le attese, ha contribuito a spingere gli acquisti. Così come ha sostenuto i «buy» il dato più puntuale sull’Italia. In particolare, il rimbalzo della fiducia dei consumatori nella Penisola (salita a 110,9 sempre a febbraio) ha toccato i massimi dal giugno del 2002. A questo, poi, si è aggiunto il buon andamento del mercato del lavoro in Germania. Insomma, un cocktail di dati macro che non poteva non mettere di buon umore (almeno ieri) gli investitori. Così gli stessi listini del Vecchio continente sono saliti: Milano, insieme a Francoforte, è stata la migliore (+1,04%). A seguire le altre Borse: da Madrid (+0,81%) a Parigi (+0,58%) fino a Londra (+0,21%).

Fin qui l’Europa: quale però l’andamento dei mercati negli Usa? Qui il ruolo principale lo hanno giocato, essenzialmente, alcuni dati congiunturali. In primis c’è stato quello dell’inflazione. Ebbene, i prezzi aggregati dei beni di consumo sono scesi, in gennaio, dello 0,7%. Una caduta niente male che, considerando gli stessi sussidi di disoccupazione più alti delle stime, avrebbe potuto far pensare alla Fed maggiormente paziente rispetto alla stretta monetaria. Con il che Wall Street sarebbe dovuta salire. Questo, però, non è successo. Perchè? Semplice. La discesa dell’inflazione è stata in grande parte causata dalla componente energetica (ieri il petrolio Wti ha perso oltre il 4%). L’indicatore core, invece, è salito oltre le stime. Ed è proprio questo andamento che è stato maggiormente considerato dagli investitori. I quali, a fronte di prezzi al consumo meno «deboli», si sono convinti che Yanet Yellen non potrà tenere ancora a lungo i Fed fund inchiodati allo zero. Certo, la situazione resta fluida. E tuttavia, almeno ieri, ha prevalso l’idea di tassi in rialzo negli Stati Uniti. Tanto che l’euro verso il dollaro si è ulteriormente indebolito. In serata la moneta di Eurolandia era al di sotto di 1,12 verso il biglietto verde. In un simile contesto, mentre Wall Street viaggiava debole e contrastata, ben si capisce il perchè del flusso di acquisti sull’azionario europeo. Il tutto in attesa dei numerosi dati di oggi: dall’inflazione in Europa fino alla seconda lettura del Pil Usa.

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