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Manifattura al top degli investimenti

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Manifattura al top degli investimenti

  • –Nicoletta Picchio

Le imprese manifatturiere investono e innovano, confermandosi motore dello sviluppo, nonostante siano sfavorite dal contesto economico che riduce la capacità di spesa. Secondo il Centro studi Confindustria, che ha analizzato la propensione ad investire in termini di rapporto tra investimenti e valore aggiunto manifatturiero, il tasso di investimento per l’Italia è al 23% per il 2013, a fronte del 26,4% nel 2000 e del 25,6% nel 2007. La Germania, invece, insieme alla Francia, si colloca in fondo alla classifica delle principali economie industrializzate. Nicoletta Picchio pagina 4

roma

Le imprese manifatturiere investono e innovano, confermandosi motore dello sviluppo, nonostante siano sfavorite dal contesto economico, che riduce la capacità di spesa. E cioè stretta creditizia senza precedenti, redditività crollata ai minimi storici, caduta dei consumi interni, una crescita rallentata della domanda estera, oltre all’«inconsistenza per troppi anni della politica industriale».

A fare questa affermazione è il Centro studi di Confindustria, che ha quantificato la propensione delle aziende italiane ad investire analizzando il rapporto tra investimenti e valore aggiunto manifatturiero: il tasso di investimento delle imprese manifatturiere in Italia è stimato dal CsC intorno al 23% per il 2013, a fronte del 26,4% nel 2000 e del 25,6% nel 2007. Valori tra i più alti al mondo. La Germania, insieme alla Francia, si colloca in fondo alla classifica delle principali economie industrializzate, con un valore che oscilla attorno al 15% per tutto il periodo 2000-2013 e che nel 2013 era stimato al 13%. La Francia si è attestata al 12,5, gli Usa al 19,2 e il Giappone al 21,1. Solo la Corea del Sud fa meglio, con il 30,6.

Quindi la contrazione della produzione manifatturiera, anche se ha intaccato profondamente la spesa delle imprese italiane (gli investimenti sono calati nel periodo 2007-2013 del 31,6%, mentre la Germania li ha aumentati dell’8,8% rispetto al 2000 e nel 2013 è tornata sui livelli pre-crisi), non ne ha ridotto la propensione all’investimento. Hanno pesato i fattori esterni «non quindi un minore spirito imprenditoriale».

L’analisi diffusa ieri dal Centro studi di Confindustria smentisce anche un altro luogo comune, e cioè che l’industria italiana innovi troppo poco. Dai dati CsC emerge che la quota di imprese innovatrici nel nostro paese è pari al 46% del totale, rispetto al 63% tedesco, al 43% francese e al 39% britannico. Una percentuale che sale al 68% se si considerano solo i comparti a più alta intensità tecnologica (secondo i dati del Community Innovation Survey del 2012, gli ultimi disponibili). Lo stesso livello della Francia, ma sopra il 57% del Regno Unito.

Serve «cautela» dice il CsC, di cui è direttore Luca Paolazzi, nell’interpretare i bassi livelli di spesa in R&S dell’Italia, pari all’1% del fatturato manifatturiero, contro il 3,2% della Germania e il 2,8% della Francia. Sono in parte sottostimati rispetto al dato reale per la loro mancata contabilizzazione e sono penalizzati, anche in questo caso, da fattori esterni, come l’inconsistenza della politica industriale.

Tra l’altro, sottolinea l’analisi curata da Livio Romano, i dati dimostrano che la manifattura riveste un ruolo strategico come motore della crescita: la spesa in R&S nel settore privato è stata coperta per il 74% dal manifatturiero (dato 2012). Altro elemento messo in luce dal CsC è che se la spesa privata è bassa in R&S, nelle altre voci di spesa in innovazione l’Italia si colloca in cima alla classifica delle principali economie europee, con una percentuale dello 0,9 inferiore solo al 2,2 della Germania ma superiore allo 0,6 della Francia e del Regno Unito.

Pesa il grave ritardo del paese rispetto alle altre principali economie, Germania in testa. L’assenza fino a oggi di un significativo beneficio fiscale legato alla contabilizzazione separata per le spese in R&S ha comportato appunto la sottostima nelle statistiche ufficiali. La Nuova Sabatini e il credito per gli investimenti recentemente varato dal governo hanno stimolato la ripresa degli acquisti in macchinari e impianti. Ma «includere nella rendita catastale il valore di macchinari e impianti è del tutto contraddittoria». Occorre fare di più anche nell’accesso alle risorse finanziarie, attivando misure già allo studio come gli industrial bond, ed eliminare i vincoli fiscali per i finanzamenti alternativi a quello bancario. Quanto al credito di imposta per la ricerca e l’innovazione, è del tutto insufficiente e a causa dell’approccio incrementale rischia di penalizzare quelle imprese che hanno investito in R&S durante la crisi. Serve una politica industriale in cui lo Stato sia catalizzatore degli sforzi pubblici e privati attorno ai grandi progetti di sviluppo. È urgente creare la piattaforma finanziaria, definita Risk Sharing Facilities, prevista dalla legge di stabilità e non ancora operativa.

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