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Tentazioni anti-privacy della Ue

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Tentazioni anti-privacy della Ue

  • –Giovanni De Paola

«Gli Stati Membri dell'Unione europea stanno lavorando per distruggere il tessuto della legislazione europea sulla privacy». È l'allarme lanciato dalla European Digital Rights, organizzazione non profit che promuove e difende i diritti civili in rete. L'Ong Edri su imbeccata dell'organizzazione Statewatch ha pubblicato un leak con una bozza di proposta del Consiglio dell'Unione europea per la riforma della regolamentazione sulla protezione dei dati.

In cima alla lista dei punti che emergono dal leak e preoccupano di più gli osservatori della rete «c'è la proposta di eliminare l'articolo che obbliga a informare i cittadini, soprattutto i bambini, su come vengono utilizzate le informazioni personali attraverso richieste trasparenti e facilmente accessibili», spiega Diego Naranjo di Edri. Riguardo al consenso «è cambiato l'aggettivo che gli si affiancava da “esplicito” in “non ambiguo”», spiegano dalla Rappresentanza italiana a Bruxelles. «L'Italia avrebbe inizialmente preferito non modificare, ma molti Paesi temono che indicando il consenso come “esplicito” si dovrebbe tornare ogni volta a chiedere un ok formale al detentore dei dati, cosa che diventa fastidiosa sia per le aziende che per il soggetto».

Dal leak si apprende che verrebbe a essere modificato anche uno degli obiettivi centrali della riforma europea sulla privacy proposto dalla Commissione europea, il meccanismo dello sportello unico (one-stop shop). Quando il trattamento dei dati avviene in più Paesi della Ue la competenza del controllo delle attività dell'azienda che gestisce i dati dell'utente spetta a un'unica autorità di vigilanza, quella dello Stato in cui si trova l'azienda.

«Nel documento “leakato” - sottolinea Diego Naranjo - il Consiglio propone un meccanismo di sportello unico molto burocratico e complesso. Infatti, in caso di denuncia per violazione dell'utilizzo dei dati almeno due autorità di due paesi differenti sarebbero coinvolte e dovrebbero pronunciarsi causando lungaggini legislative». Non si parlerebbe più di one-stop shop. «Si è voluto dare ai cittadini la possibilità di presentare in primis ricorsi presso la propria autorità garante», spiegano dalla Rappresentanza permanente italiana. «Potrebbe diventare un procedimento troppo burocratico, ma non è detto che debba succedere».

«Secondo il nuovo documento - dice Naranjo - spetta alle aziende decidere se rispettare o meno l'obbligo di informare i cittadini. Un'eventuale notifica di violazione dei dati arriverebbe solo in caso rappresentasse un alto rischio per i diritti fondamentali. Ma in base a quali criteri lo stabilirebbe l'azienda. Questo rappresenta uno svilimento del concetto di privacy by design».

Il concetto è, infatti, presente nel testo approvato dall'Eurocamera. Dal Consiglio controbatte un portavoce: «Abbiamo stabilito, dopo discussioni approfondite e tecniche, una serie di principi leciti, equi e trasparenti per l'elaborazione dei dati, in particolare sul trattamento dei dati personali».

«Ottimista sul futuro della regolamentazione europea» si dice Ann Cavoukian, ideatrice del concetto di privacy by design all'inizio degli anni 90. «Incoraggio l'Unione europea a mantenere con forza la privacy by design all'interno della legislazione».

Non usa mezze misure l'europarlamentare olandese Sophie in 't Veld, relatrice per il gruppo dei liberaldemocratici: «Il Consiglio si sta allontanando dalla posizione del Parlamento. Le grandi compagnie come Google e Facebook hanno un'influenza importante sui governi nazionali e hanno cercato di influenzare anche la posizione dell'Eurocamera, ma non ci sono riuscite al 100 per cento».

L'attuale regolamentazione risale al 1995 e attende un adattamento per l'ecosistema internet da quando la Commissione Ue ha proposto nel 2012 la riforma, approvata dall'Europarlamento a marzo 2014. Ora è nelle mani del Consiglio. Il commissario al mercato unico digitale, Gunther Oettinger, ha annunciato una decisione finale entro dicembre.

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