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Italia alla ricerca del Pil digitale

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Rapporto Accenture-Oxford Economics

Italia alla ricerca del Pil digitale

L'Italia è in ritardo. Il gap italiano rispetto al resto del mondo avanzato è evidente in molti aspetti di quella che Accenture, in uno studio redatto in collaborazione con Oxford Economics, chiama “densità digitale”. Di cosa stiamo parlando? Di un indice, il “Digital Density and Productivity” per l'appunto, che misura come le nuove tecnologie vadano a impattare sulle performance economiche di un settore o di un'intera nazione.

In questo studio le virtù di un Paese, la sua mentalità digitale, sono rese scientificamente misurabili attraverso diversi parametri di valutazione (18 nel complesso, frutto di 33 indicatori che vanno dallpaccesso a Internet, all'uso del cloud in azienda, al “digital recruitment”) raggruppati in quattro distinti filoni: quanto le tecnologie digitali possono creare nuovi mercati e abilitare trasformazioni in quelli esistenti (Making Markets); come le aziende possono utilizzarle a supporto del business (Running Enterprises); come queste cambiano i processi di procurement e il lavoro (Sourcing Inputs) e infine quanto il contesto istituzionale e socio-economico ne favorisce l'adozione (Fostering Enablers).

Una valutazione molto articolata, quella di Accenture, la cui chiave di lettura è però facilmente riassumibile: maggiore è il grado di densità digitale di un Paese, migliori sono le sue prestazioni. Con una conclusione: l'aumento di 10 punti del “Digital Density” e il relativo aumento di produttività, facendo un esempio concreto, potrebbero generare una crescita media annua di 0,25 punti percentuali di Pil in un'economia avanzata come quella italiana, con un incremento stimabile per il 2020 pari all'1,8 per cento. Per l'Italia si parla di 41 miliardi di dollari in più. «L'analisi sull'Italia ci dice essenzialmente due cose», commenta Marco Morchio, Accenture Strategy Lead, «primo, che il Paese è a un bivio, e deve saper sfruttare ora la finestra esistente per sviluppare i margini di crescita del Pil attraverso una decisa spinta all'adozione del digitale; secondo, che questo potenziale non avrà alcun valore se non saremo capaci di operare come sistema paese e su specifiche priorità: le tecnologie IOT, lo sviluppo di competenze digitali e un approccio più diffuso all'open innovation. Recuperare il gap rispetto alla media europea è possibile, e vale 80 miliardi di crescita sul Pil nei prossimi 5 anni».

L'Italia, oggi, risente però pesantemente di un approccio poco incisivo. Tant'è che il risultato finale vede il Paese come ultimo fra gli europei e, fra gli Stati presi a esame, davanti solo all'India, con un indice finale a quota 33,1. Lo score di 75,2 dell'Olanda è lontano, come il 59,6 della Svezia e il 57,1 della Finlandia.
I segnali che le imprese riconoscano nel digitale un elemento importante della loro strategia non mancano, ma i benefici scaricati a terra sono pochi, pochissimi. Lo studio parla non a caso di un mercato che è stato lento a migrare verso il business online, di imprese che sono pigre nell'abbracciare le nuove tecnologie, di consumatori che sono connessi peggio rispetto al resto d'Europa, di un sistema Paese che nel suo complesso fa poco per catalizzare i progressi che si porta appresso la digitalizzazione. Aggiungiamo a queste considerazioni un capitale umano avaro di qualificate competenze in Information technology e di investimenti in ricerca e sviluppo da record negativo ed ecco spiegato perché l'Italia ha il punteggio più basso in fatto di densità digitale rispetto a tutto il campione europeo. È un ecosistema fra i meno sviluppati del Vecchio Continente.
L'analisi è impietosa, ma forse non deve sorprendere più di tanto. Le pecche risiedono nello scarso utilizzo di strumenti e piattaforme digitali per reclutare talenti e per accedere ai finanziamenti, voci che ci vedono nelle posizioni più di retrovia. Il nostro sistema paga dazio in termini di flessibilità organizzativa e del mercato del lavoro, ma anche la limitata connettività, la difficoltà di accesso al credito e le ben note pastoie burocratiche contribuiscono a condizionare in negativo lo stato di salute della macchina Italia. Cambiare marcia sfruttando il volano delle nuove tecnologie, massimizzandone gli impatti attraverso il miglioramento della produttività, è dunque l'imperativo.
Una delle priorità è quella di costruire un vero e proprio mercato online. Una seconda esigenza è quella di abbracciare in modo più strutturato la pubblicità online. Se l'Italia dovesse triplicare la quota di spesa in digital advertising, portandola dal 6,3% al 18,9% del fatturato pubblicitario complessivo, si eleverebbe sopra la media globale e leggermente sotto quelli statunitensi. Un altro passo auspicabile sarebbe quello di “fare” più ricerca e sviluppo. Oggi solo il 14% delle nostre imprese supporta le proprie operation con strumenti digitali al cospetto del 25% di quelle francesi, il 33% di quelle tedesche e addirittura il 62% di quelle spagnole. Dagli altri Paesi, infine, l'Italia dovrebbe imitare anche la propensione all'uso del digitale (le piattaforme di crowdfunding per esempio) per accedere ai capitali mentre l'azzeramento del gap alla voce connettività è un passaggio vitale.

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