Sembrano fatti apposta per i “millennials”, i giovani tecnologici che vivono in una dimensione di relazioni digitali. Si chiamano “robo-advisors” e sono una delle grandi rivoluzioni della gestione finanziaria, in particolare per alcuni segmenti di clientela. Alla fine del 2014, stando a una recentissima indagine (dal titolo Robo-Advisor vs Human-Advisor) promossa da PwC e Professione Finanza, i robot gestivano 19 miliardi di dollari, con un'impressionante crescita del 65% delle masse in appena nove mesi.
I grandi venture capitalist americani finanziano generosamente le nuove piattaforme e il fenomeno non è sfuggito anche ai nomi blasonati dell'asset management. Schroders ha per esempio acquistato quote di una di queste piattaforme, Nutmeg, mentre il big americano dell'investimento online Charles Schwab ha lanciato gli “Schwab Intelligent Portfolios”, con un taglio minimo di 5mila dollari. E persino Fidelity, colosso mondiale del risparmio gestito, ha stipulato un accordo con Betterment Institutional e LearnVest, due delle società protagoniste della rivoluzione robotica.
Chi è il robo-advisor e come lavora
E' una piattaforma online che, sulla base di algoritmi di risk management e asset allocation, offre ai risparmiatori soluzioni di investimento più o meno personalizzate, a fronte di una parcella definita e “low cost”.
Il robot classifica il cliente in base al suo profilo di rischio e va ad identificare la combinazione rischio-rendimento che meglio gli si adatta. E' una sorta di consulente finanziario virtuale che, sfruttando la tecnologia e utilizzando principalmente Etf a basso costo, offre servizi in modo efficiente e a un prezzo competitivo, puntando sulla semplicità e sulla qualità dell'esperienza online per il consumatore.
Si prevede che questo nuovo modello di business ad alta trasparenza porterà alla riduzione delle commissioni dei normali gestori patrimoniali (un po' come è avvenuto per le compagnie aeree tradizionali con l'avvento dei voli low cost).
Il boom delle macchine negli Stati Uniti. Con Apple e Facebook che…
Negli Stati Uniti, società come WealthFront e Betterment gestiscono circa un miliardo di dollari, ma più in generale l'industria del FinTech (financial technologies) è oggetto di uno sviluppo straordinario, grazie anche alla generosità del venture capital. Nel 2014, sono stati investiti nel mondo qualcosa come 485 miliardi di euro per l'innovazione tecnologica in finanza (dati Gartner). Allargando lo sguardo, non va dimenticato per esempio il boom del mobile-pay, con Apple Pay, LoopPay di Samsung e TrasferWise, piattaforma per il trasferimento di denaro peer-to-peer valutata circa un miliardo di dollari. E chissà che un domani Apple e Facebook, o Google, non entrino a loro volta nel business dei “consulenti robot”. Come ha già fatto, per esempio, AliBaba.
La situazione in Europa e in Italia
Anche in Europa stanno consolidandosi i “robo-advisors”: ci sono per esempio Nutmeg in Gran Bretagna, T-Advisor in Spagna e Moneypark in Svizzera. Nel nostro Paese il maggior player è Moneyfarm, finanziato da alcuni tra i principali venture capital italiani (come Annapurna Venture e Jupiter Ventures).
Per il momento tuttavia i consulenti finanziari tradizionali, quelli in carne e ossa, non si preoccupano troppo dei robot. Secondo l'indagine Robo-Advisor vs Human-Advisor (condotta su un campione di oltre mille professionisti su un totale di più di 23mila iscritti ad Assoreti), il 96% degli intervistati ritiene che meno di un decimo dei propri clienti utilizzi già una piattaforma di robo-advisory, mentre il 63% del campione è convinto che una macchina non possa performare meglio di un consulente in termini di rendimento. Quattro professionisti italiani su dieci ritengono che i robot possano sottrarre loro solo quote marginali di clientela.
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