L'ultimo rapporto di Assinform prevede un 2015 positivo per gli investimenti in Ict, che torneranno a crescere leggermente dopo un decennio di costanti riduzioni. Brillano cloud, mobile e Internet delle cose. I passi in avanti delle aziende nell'adozione delle nuove tecnologie non mancano. Ma ci sono ancora troppe ombre.
L'ultimo rapporto Assinform sul mercato digitale italiano, relativo al 2014, parla chiaro: finalmente, anche nel nostro Paese, si evidenzia un'inversione di tendenza. Il 2015 si chiuderà in attivo, seppur con una crescita della spesa in tecnologie Ict limitata all'1,1%, con giro d'affari poco sotto i 65 miliardi di euro. La buona notizia è che l'Italia esce da dieci anni di costante riduzione degli investimenti, compreso l'ultimo, chiuso con una flessione pari all'1,4% e con il comparto delle telecomunicazioni in grande sofferenza.
I segmenti che hanno finora controbilanciato le performance negative delle telcos sono quelli che fanno riferimento alle componenti tecnologiche innovative, come il cloud computing e l'Internet delle cose. Le soluzioni nella nuvola hanno sviluppato nel complesso oltre un miliardo di euro di fatturato: i servizi di tipo pubblico sono cresciuti del 42,1% tra il 2013 e il 2014, generando un business di 540 milioni di euro, mentre quelli di tipo privato sono aumentati di circa 33 punti, toccando quota 495 milioni.
Stesso trend positivo per l'IoT e i dispositivi sempre connessi. Il mercato italiano dell'Internet delle cose è ancora poca cosa rispetto a quello globale ma è indubbio che sta iniziando a prendere consistenza: 80 milioni sono gli oggetti interconnessi già in esercizio, per giro d'affari stimato nell'ordine dei 1,6 miliardi di euro e in crescita del 13,3%. Le buone notizie finiscono però qui, salvo qualche buon segnale lanciato dalla componente mobilità e dalla pubblicità in formato digitale.
Per questo da Assinform si sono detti moderatamente soddisfatti di questi risultati, risultati che confermano l'Italia ancora lontana dal marciare alla velocità di trasformazione digitale necessaria per produrre gli effetti di crescita che si stanno verificando nelle altre economie. Il ritardo accumulato in questi anni, che riguarda tutti i settori pubblici e privati e che ha generato uno dei più bassi indici di utilizzo delle tecnologie digitali nella Ue, è insomma troppo profondo per poterci accontentare di margini di crescita di piccola entità. L'associazione che raggruppa i principali operatori Ict, nonostante tutto, si dichiara ottimista ma ricorda come dovrà essere la politica ad assumersi il ruolo di driver della digital transformation, per riportare i tassi di crescita degli investimenti in tecnologie a livelli accettabili e per centrare gli obiettivi fissati dalla Digital Agenda europea per il 2020.
Il rapporto di fiducia in costante crescita ma con ancora qualche “nicchia” di diffidenza di troppo è del resto stato ben riassunto a inizio anno dal rapporto Istat sulla diffusione delle tecnologie Ict nelle aziende italiane. L'analisi, che ha preso in considerazione le realtà con almeno dieci addetti, mostra trend di dinamismo interessanti soprattutto nelle piccole imprese, più propense – per esempio – a investire nel cloud per ottenere risparmi sui costi di gestione, avviare in modo più rapido nuove attività e portare all'esterno attività di manutenzione e sviluppo tecnologico. La promessa di garantire risparmi e di migliorare l'efficienza dei processi aziendali continua a trainare l'adozione del computing nella nuvola, oggi utilizzato dal 40% delle società tricolore, comprese quelle di dimensioni medie e piccole. Il vero boom, però, lo ha fatto registrare (nel 2014) l'ambito mobile. Quasi sette imprese su dieci dichiarano di aver fornito dispositivi portatili ai propri impiegati. In Italia, questo il dato che va enfatizzato, il 13,9% della forza lavoro totale utilizza notebook, cellulari o tablet aziendali, mentre nel 2013 la percentuale arrivava al 12 per cento.
Ma non è tutto oro quel che luccica. Anche nel campo del cloud computing, infatti, si registrano criticità che ne possono limitare l'utilizzo. Tra gli ostacoli maggiori, evidenziati dalle stesse imprese, troviamo i rischi di violazione della sicurezza e la scarsa conoscenza dei servizi. Le grandi realtà sembrano essere preoccupate, in particolar modo, dalle difficoltà di trasferire dati in caso di recesso di contratto con il fornitore dell'incertezza del quadro legislativo, specie nei casi di controversie e dell'ubicazione dei dati. Se di ripresa degli investimenti in tecnologia si può parlare, insomma, è anche vero che siamo solo all'inizio del percorso.
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