Cosa fa Your.MD.
È il CEO stesso a spiegarlo «l'applicazione consente a chiunque di potere consultare un database di sintomi e ottenere indicazioni su quali comportamenti adottare, se rivolgersi ad un medico, ad una farmacia, oppure non fare nulla». Disponibile per iOS e Android (non è prevista l'applicazione per Windows Phone) nasce con l'intento di potere essere usata anche da chi non ha conoscenze mediche, come alternativa più attendibile dei motori di ricerca o dei forum tematici. «Nei grossi centri urbani americani – continua il CEO Berlucchi – il tempo di attesa medio per una visita medica è di 18 giorni, e ci sono aree del mondo in cui la densità di medici è ancora inferiore. Non vogliamo curare nessuno, vogliamo suggerire alle persone cosa fare».
Come funziona
I database vengono alimentati dai big data che a loro volta, tramite modelli matematici e analisi specifiche, restituiscono risultati che rappresentano diagnosi la cui attendibilità vuole superare quella dei medici. Individuata la natura (grazie a regole probabilistiche) della malattia suggerisce all'utente a quale categoria di specialisti rivolgersi. Data science, AI e machine learning al servizio della salute, con responsi chiari e comprensibili a tutti, proprio perché non redatti da medici in linguaggio medico.
Cinque milioni di dollari e (ancora) nessun modello di business
Il denaro è stato erogato da investitori privati, animati da puro spirito filantropico. Tre dei cinque milioni sono stati versati da Smedvig Capital, azienda riconducibile ad un solo uomo, gli altri due da una cordata di privati. Your.MD vuole implementare lo sviluppo dell'applicazione senza ancora avere un reale modello di business, come spiega Matteo Berlucchi «in futuro sarà possibile contattare un medico direttamente tramite l'applicazione e indirizzare gli utenti verso aziende specializzate, ad esempio, nel “wearable” in quel momento verranno valutate strategie di monetizzazione».
Perché non in Italia?
Nonostante il management italiano, la startup è nata ed è cresciuta all'estero: «non avremmo avuto lo stesso successo in Italia – chiosa il CEO – perché l'ecosistema non favorisce la gestione del rischio finanziario. In Inghilterra il sistema di facilitazioni e sgravi fa sopportare meglio il rischio a chi investe». Un male che si estende ad altri Stati, anche per una questione linguistica che non aiuta a creare il mercato necessario ad ogni startup per crescere in modo sano ed ordinato: «l'Inghilterra, e quindi la lingua inglese, permettono di approcciarsi subito ad utenti locali, americani e più in generale del Nord Europa e tutti i Paesi in cui l'inglese è diffuso».
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