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Dossier Nel digitale siamo 25esimi su 28 Paesi europei

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    Dossier | N. 10 articoliBanda larga, tutto quello che le aziende (e i cittadini) devono sapere

    Nel digitale siamo 25esimi su 28 Paesi europei

    Nel digitale siamo 25esimi su 28 Paesi europei. È un giudizio che pesa come una condanna quello che si legge nel Digital Scoreboard della Commissione europea ed è basato su numerosi parametri, in cui l'Italia è in ritardo più o meno grave. I problemi più brucianti sono quelli che denunciano quanto internet e il digitale ancora non siano penetrati a fondo nella società italiana.

    Secondo dati 2014, siamo agli ultimi posti per uso di internet da parte dei cittadini (solo il 59 per cento è “utente regolare”; il 31 per cento non l'ha mai usata) e delle aziende (solo il 5,1 per cento delle Pmi vende online; le imprese italiane fanno solo il 4,8 per cento delle vendite online, in volume d'affari).

    C'è in generale un problema di fiducia (“trust”, scrive la Commissione) in internet, perché solo il 42% degli italiani fa online banking e il 35 per cento acquista online.
    E anche se siamo a vicini alla media europea per disponibilità online dei servizi della pubblica amministrazione, solo il 36 degli italiani li utilizza. Siamo a pari merito con la Bulgaria e fa peggio solo la Romania. Il motivo- come riconosciuto anche dal piano Crescita digitale approvato a marzo dalla presidenza del Consiglio- è duplice: “servizi online pubblici non sufficientemente sviluppati e problemi di competenze digitali (tra la popolazione)”, scrive la Commissione nel rapporto Desi 2015. Per altro, negli ultimi anni il divario con gli altri Paesi è persino aumentato, quanto a utilizzo dei servizi online della PA da parte di cittadini e imprese (Spagna e Regno Unito hanno fatto un balzo del 12 e del 10 per cento, contro il + 4 per cento dell'Italia, tra il 2010 e il 2014).

    A usare i servizi on line della PA è solo l'85 per cento delle imprese, una quota inferiore di 3 punti rispetto alla media Europa. Le aziende italiane che fanno dichiarazioni Iva e contributi in via elettronica sono il 33 per cento. Il ritardo è di 16 punti percentuali per l'invio telematico di moduli compilati. Meno internet nei rapporti con la PA equivale a un maggiore peso della burocrazia (in termini di tempi e di costi, che pesano sulle aziende).
    Una delle poche note positive è la copertura banda larga (in media con l'Europa: 98 per cento della popolazione), mentre siamo in grande ritardo su quella ultra larga. L'ultimo dato ufficiale è del 2014: 22 per cento della popolazione. Ad oggi siamo vicini al 50 per cento (a quanto risulta, dalle prime indiscrezioni che arrivano dalla Consultazione Infratel 2015 con gli operatori, tuttora in corso). Comunque, la media europea era già sul 65 per cento nel 2013. Noi arriveremo a questa quota nel 2016, secondo i piani di operatori e Governo.

    Di conseguenza il divario sarà colmato forse solo nell'ultimo triennio di questo decennio. Resta il fatto che siamo in ritardo anche per tasso di adozione della banda ultra larga da parte degli utenti che ne sono coperti. «Tutto lascia pensare quindi che non basti risolvere uno dei nostri ritardi: serve un approccio sistemico, per svoltare», spiega Giuseppe Iacono, presidente di Stati Generali dell'Innovazione.

    È la filosofia dei piani Crescita Digitale e Banda ultra larga, che mirano a risolvere insieme il problema della domanda e dell'offerta di internet in Italia. L'idea di fondo è che solo così si può dare un senso agli investimenti pubblici e privati in arrivo sulle reti. Già la Cabina di Regia di Francesco Caio (Governo Letta) aveva individuato la formula giusta: sbloccare i ritardi italiani puntando su alcuni fattori di digitalizzazione profonda. La fattura elettronica, l'Anagrafe Unica, l'identità digitale. La prima- che è già diventata obbligatoria, verso tutte le PA- vuole essere volano di digitalizzazione delle imprese (oltre che dell'amministrazione pubblica). L'identità digitale agevolerà l'uso dei servizi internet da parte dei cittadini. L'Anagrafe Unica serve come base per mettere ordine nella trasformazione digitale del Paese.

    Crescita Digitale perfeziona questa strategia, sistematizzandola. Tra l'altro, conia il progetto Italia Login, che vuole rispondere alle critiche della Commissione sulla scarsa usabilità dei nostri digitali della PA. Sarà un ecosistema unico per l'accesso e utilizzo ai servizi pubblici, via internet (fisso e mobile).

    Altre leve, su cui il Governo punta, per incentivare i servizi sono le competenze digitali nella Scuola, la divulgazione tramite la Rai. Anche il piano Banda Ultra larga si occupa di incentivare la domanda, prevedendo voucher (con fondi pubblici) per ridurre il costo di acquisto delle nuove connessioni.

    I punti della strategia governativa sono numerosi. La buona notizia è che alle spalle ci sono 4,6 miliardi di euro di fondi 2014-2020 (nazionali ed europei). Ma non sarà facile: la trasformazione ipotizzata, dell'Italia, è profonda e sistemica; al tempo stesso, appare necessaria, in ogni suo punto, perché l'intero impianto possa reggersi in piedi, colmando il divario con gli altri Paesi.

    A comprare online è soltanto il 35 per cento gli utenti internet italiani (contro il 63 per cento della media dei 28 Paesi Ue). A fare acquisti transfrontalieri è il 14 per cento (contro il 18 per cento). Teniamo conto che il confronto sulla percentuale della popolazione sarebbe ancora peggiore, per noi, dato che a navigare è il 59 per cento degli italiani (contro il 75 per cento degli europei). Di converso, sono poche anche le Pmi che vendono online: 5,1 per cento (la media europea è del 15 percento). I servizi dell'amministrazione digitale sono usati da appena dal 36 per centodegli utenti internet (contro il 59 per cento). Ricette elettroniche e fascicolo sanitario elettronico sono ancora poco diffuse. È il 9,2 per cento dei medici italiani a mandare le ricette via rete ai farmacisti, contro il 27 per cento della media europea. In generale, condividiamo gli ultimi posti nella classifica europea con Bulgaria, Romania e Repubblica Ceca.

    Altri dati sconfortanti si trovano dal rapporto di Confartigianato. Emerge, tra l'altro, la scarsa usabilità dei servizi digitali delle amministrazioni pubbliche. Un utente su tre ne è stato deluso, dopo aver tentato di usarli, per vari motivi. Ha avuto difficoltà a trovare le informazioni desiderate o a comprendere lo stato di avanzamento di una pratica. Ha penato per capire come funzionano i servizi accessibili online. «Il fatto che le priorità europee coincidono con i nostri ritardi potrà servirci come stimolo. Ma temo che non sarà così, perché l'Europa si occuperà solo di fare le norme, lasciando ai singoli Paesi l'attuazione. Cosa che ci viene particolarmente male, come si vede dai ritardi dei decreti attuativi per l'Agenda digitale. Alcuni di loro attesi già da due anni», dice Gastaldi. «Per uscire dall'impasse, mancano alcuni ingredienti fondamentali- continua.

    A partire da metriche complete sullo stato di avanzamento del digitale in Italia. Quelle che abbiamo solo soltanto a livello nazionale - ma tra le regioni ci sono enormi differenze - e a volte usano indicatori che non riescono a verificare l'effettivi ritardi su certi parametri. È il caso della Sanità digitale». Gli Osservatori del Politecnico stanno sviluppando, con le Regioni, un cruscotto per misurare lo stato dell'Agenda e lo presenteranno all'Agenzia per l'Italia Digitale, quest'anno. Un altro ingrediente che manca è una governance chiara e coesa su questi temi. Non aiuta aver cambiato direttore dell'Agenzia dopo sette mesi (Alessandra Poggiani). «La governance dell'Agenda e il digital divide della nostra classe dirigente sono i nodi da superare per colmare i ritardi italiani»,

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