Sulle spalle del Governo resta ancora un bel cumolo di nodi da sciogliere, verso l'obiettivo di dare a tutti i 30 Megabit e al 50-85 per cento della popolazione i 100 Megabit entro il 2020.
Sappiamo che finora l'Italia ha stanziato 4,3 miliardi di euro, di cui 2,1 di fondi europei e 2,2 di fondi nazionali sviluppo e coesione. Ne mancano all'appello 2,7 miliardi di euro, per arrivare ai 7 miliardi di fondi pubblici considerati necessari- dal piano banda ultra larga governativo- per arrivare a quegli obiettivi.
Intanto, sembra ormai scontato che gli obiettivi saranno raggiunti non prima del 2022, proprio per via delle difficoltà che rallentano l'andata a regime del piano banda ultra larga governativo.
Infatti, i 2,1 miliardi di euro di fondi europei già stanziati da tempo, per la banda ultra larga, vanno spesi entro il 2022, altrimenti andranno persi. Su questa data si è pure tarato lo stanziamento Cipe di agosto, con fondi nazionali sviluppo e coesione, per un totale di 2,2 miliardi: 40 milioni nel 2016, 350 milioni nel 2017 e 2018, 400 milioni nel 2019, 450 milioni nel 2020 e 2021 e 160 milioni nel 2022.
Come si vede, il grosso arriverà dal 2017. Fino all'anno prossimo potremo contare sui fondi strutturali europei, che sono nelle mani delle Regioni, le quali si sono già accordate con il Governo per gli opportuni investimenti in banda ultra larga. Alcune Regioni nelle scorse settimane stavano però tentennando, vedendo mancare l'impegno governativo nel piano.
La delibera Cipe di agosto dovrebbe aver sciolto le perplessità e quindi confermato la disponibilità regionale per quei 2,1 miliardi. Ma certo, fino alla stanziamento effettivo nei bandi di gara, dovremo tenere il fiato sospeso.
Infine, c'è qualche nodo nell'effettiva ripartizione di questi fondi. Di quei 2,1 miliardi, solo 400 milioni spettano al Centro Nord, che però finora hanno avuto meno interventi pubblici nella banda ultra larga.
Di conseguenza, il Governo pensa di concentrare sul Centro-Nord (in particolare per il Nord, dato che il Lazio comunque è riuscito a fare una gara con propri fondi) la parte preponderante dei nuovi fondi sviluppo e coesione (2,2 miliardi). A questo scopo però serve un nuovo accordo con le Regioni, che sono gli utilizzatori finali dei fondi (anche se questi sono nazionali).
Fin qui abbiamo visto i nodi dei fondi già disponibili. Ma è su quelli ancora non stanziati- 2,7 miliardi, come detto- che si apre un mare di incognite.
Intanto, sappiamo che i fondi finora stanziati riguardano solo il 50 per cento della popolazione, pari alle aree a “fallimento di mercato”. Sul restante 50 per cento gli operatori hanno già cominciato a investire, ma su tecnologia fibra ottica fino agli armadi, che il Governo vorrebbe migliorare (con fondi pubblici) portandola fino alle case.
La Commissione europea non ha sciolto ancora le riserve sulla possibilità di spendere fondi pubblici in quelle aree, dato che c'è il rischio di danni e distorsioni alla concorrenza.
Non solo: il Governo intende applicare anche misure di incentivo alla banda ultra larga mai utilizzate prima. Di quei 2,7 miliardi, 1,4 miliardi sono destinati non ai classici bandi di gara per fare le reti, ma a voucher per incentivare gli abbonamenti. Un altro strumento previsto è il credito di imposta per gli operatori (per un valore ancora non ben determinato; questa incertezza ha fatto fallire anche analoghi incentivi fiscali che sarebbero dovuti partire già nel 2015, per la banda ultra larga). Previsto anche un fondo di garanzia con la Bei, per accelerare il credito.
Siamo in attesa di una legge per avviare questi strumenti e il veicolo giusto potrebbe essere la Legge di Stabilità. “Nella prossima legge di stabilità potrebbero trovare posto il voucher e il credito d'imposta per la banda ultra larga”, ha detto il sottosegretario allo Sviluppo Antonello Giacomelli, affermando che “deve essere individuato il veicolo normativo adatto e la prossima legge di stabilità appare l'ipotesi migliore”. Secondo Giacomelli “per il voucher occorre trovare la copertura”, mentre per il credito d'imposta non dovrebbe essere necessario.
Anche su questi strumenti serve comunque il via libera dell'Europa. Ma non è tanto qui il nodo da sciogliere. Sui voucher in particolare ci sono state polemiche da parte degli operatori, perché il Governo intendeva destinarli solo agli abbonamenti fibra ottica fino alle case. Sul credito di imposta invece- nonostante le rassicurazioni di Giacomelli- bisognerà trovare una quadra per la copertura, con il Tesoro.
Il percorso insomma sembra accidentato, ancora, soprattutto per il 50 per cento dell'Italia, pari alle aree più redditizie. Una via d'uscita risolutiva, ipotizzata già da anni, potrebbe essere una intesa fra i vari attori, per investire nella rete tramite una società veicolo pubblico-privata. Dove ci sarebbero i fondi pubblici, risorse di Cassa depositi e prestiti e gli investimenti degli operatori privati.
In questo modo si eviterebbe non solo il rischio di distorsione della concorrenza paventato dall'Europa; ma anche la possibilità di sovrapposizioni degli investimenti privati e quindi potenziali sprechi. Già adesso ci sono città servite da tre o addirittura quattro reti (Telecom Italia, Vodafone, Fastweb, Metroweb). Finché il fenomeno resta contenuto, potrebbe ancora rientrare nelle normali dinamiche competitive. Nelle aree molto redditizie c'è speranza di redditività per una molteplicità di reti. Ma investimenti non coordinati a livello sistematico porterebbero a sprechi e quindi all'incapacità di coprire al meglio le zone meno redditizie.
All'Italia servirebbe insomma ciò che più è mancato: un accordo tra le parti, che superi divergenti presenti ora tra attori privati e anche tra diversi soggetti pubblici responsabili di questa partita.
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