Un impegno a favore della privacy nato quasi per caso. Maximilian (Max) Schrems, il 27enne laureato in legge che rischia di mettere nei pasticci un gigante del web come Facebook, iniziò a interessarsi delle tematiche sulla privacy fin dal 2011, quando l’allora studente in legge passò un semestre di studio presso l’università di Santa Clara, in piena Silicon Valley.
In quell’occasione, Schrems rimase piuttosto sorpreso dalla scarsa conoscenza delle regole vigenti in Europa da parte dell’avvocato Ed Palmieri, esperto di privacy della società di Zuckerberg, intervenuto a un seminario seguito dalla sua classe.
Allora Schrems decise di scrivere la tesi del suo stage californiano proprio sul tema del rispetto della privacy da parte di Facebook nel vecchio continente. E, indagando, scoprì che la società di Zuckerberg era a conoscenza di tantissime informazioni private di tutti i suoi utenti, che tra l’altro non venivano cancellate nemmeno qualora questo decidesse di disiscriversi dal social network. Quando quindi, nell’estate di quell’anno, Schrems ritornò in Austria, decise di formare un gruppo di attivisti chiamato “Europe v. Facebook”, chiamando a raccolta altre persone sensibili all’argomento e pubblicando tutti i risultati delle sue ricerche online.
Ben presto, le ricerche di Schrems non poterono più essere ignorate dagli stessi alti executive di Facebook. Schrems ebbe infatti un colloquio, nel frebbraio del 2012, con Richard Allan, direttore europeo della privacy della società di Palo Alto che, insieme a un altro suo collega, ascoltarono per sei ore le ragioni dello studente austriaco. Il lavoro di Schrems e del gruppo di attivisti da lui formato attirò anche l’attenzione dalle istituzioni europee. Tanto più che nel frattempo, Edward Snowden rivelò che gli Stati Uniti erano responsabili di frugare nella privacy di moltissime persone, statunitensi e non.
Nonostante il fatto che esista in teoria un accordo fra Usa ed Unione Europea sul trasferimento di informazioni personali da un continente ad un altro (il cosiddetto Safe Harbor, che risale al 2000), secondo Schrems e il suo gruppo di attivisti questo accordo viene di fatto costantemente violato. La sentenza di oggi conferma la versione del giovane attivista austriaco. Una grana non da poco per il social network con più iscritti nel mondo. (f.s.)
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