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La sentenza della Corte Ue di ieri impedirà a Facebook (e ad altre 4.000 aziende che gestiscono archivi sensibili in area Ue) di trasferire i dati privati dei suoi utenti sui server degli Stati Uniti?
No, la Corte di Giustizia ha solamente dichiarato illegittimo il “via libera” che la Commissione europea diede, il 26 luglio del 2000, al traffico di dati tra Ue e Usa. Il governo comunitario, in quella occasione, aveva stabilito la «equivalenza» dei due sistemi giuridici in materia di tutela dei dati inerenti la privacy dei cittadini. Ieri la Corte, attivata da un cittadino austriaco, ha dichiarato che la Commissione non indagò sulla prassi e sulle leggi americane ma si limitò ad avallare il trattato «Harbor Safe» (approdo sicuro) di due anni prima.

Perché e in che cosa è diverso il trattamento dei dati tra area Ue e Usa?
In linea di principio entrambi gli ordinamenti riconoscono il rispetto assoluto della privacy dei cittadini. In Europa questo limite può essere superato dalla magistratura per esigenze di giustizia (in sostanza, se c’è un fondato sospetto di reati), mentre negli Usa la legge consente poteri amplissimi alla Nsa - l’equivalente dei nostri servizi segreti - se c’è un potenziale rischio per la sicurezza nazionale. La prevenzione, in sostanza, sposta molto indietro la soglia della riservatezza del cittadino americano ma anche di quelli europei che abbiano ceduto la loro identità digitale ad aziende statunitensi (da Facebook a Google ad altre migliaia di imprese, anche old economy).

Come può tutelarsi un cittadino europeo dal rischio che i suoi dati privati (mail, social network, navigazione su internet, prenotazioni online etc) siano profilati dalle autorità Usa?
La Corte del Lussemburgo ha stabilito che il cittadino può ricorrere davanti ai tribunali del suo Stato per chiedere che venga vietato il trasferimento dei suoi dati in Paesi che non abbiano lo stesso standard di difesa della privacy previsto in Europa.

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