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Il colosso Usa aprirà nel 2016 due data center in Germania

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analisi

Il colosso Usa aprirà nel 2016 due data center in Germania

Per la prima volta un gigante delle tecnologie statunitense chiede aiuto all’Europa per proteggere dalle spie del Governo americano i dati dei suoi clienti. Si può leggere anche così l’annuncio di Microsoft che mercoledì in Irlanda ha spiazzato tutti lanciando una sfida a tutti gli operatori che offrono servizi cloud nel Vecchio Continente. La decisione è di aprire entro la fine del 2016 due nuovi data center in Germania sotto il controllo dell’operatore tedesco Deutsche Telekom. La mossa del nuovo ceo Satya Nadella, oggi a Roma, intende sul piano normativo e della privacy blindare i dati registrati nella propria infrastruttura cloud sotto l’ombrello dell’Unione europea e quindi fuori dalla porata e lontano dagli occhi delle agenzie Usa. In altre parole, se il Governo vorrà accedere alle informazioni dovrà vedersela con T-Systems controllata da Deutsche Telekom e con Bruxelles. A quanto pare nemmeno i dipendenti di Microsoft avranno accesso ai dati conservati in Germania senza il permesso di T-Systems, controllata da Deutsche Telekom.

Quella fornita ai clienti dei servizi Azure, Office 365 e Dynamics Crm è però una opzione. Come precisato mercoledì da Nadella viene offerta ai clienti la scelta di sapere dove sono gestiti i proprio dati. E come ha scritto il Financial Times, i clienti di Microsoft potrebbero pagare un extra costo per memorizzare i loro dati all'interno di queste strutture. Come dire, il prezzo per metterci al sicuro dalla sorveglianza di massa verrebbe pagato dai clienti e garantito dalle autorità europee.

«Microsoft - ha spiegato Carlo Purassanta, Amministratore Delegato Microsoft Italia - continua ad investire nel cloud computing, un pilastro strategico della nostra visione, per creare l'informatica del futuro. La buona notizia è che si continua sempre più ad investire in Europa, per aumentare la nostra presenza nel continente». «Nelle ultime ore - ha aggiunto abbiamo infatti annunciato, tramite il nostro ceo Satya Nadella, che oggi abbiamo il piacere e l'onore di ospitare in Italia, una serie di nuovi investimenti nel cloud focalizzati in Europa. Abbiamo infatti espanso la nostra già estesa rete di datacenter nel Vecchio Continente».

Quella che però viene presentata come una delle conseguenze dello scandalo Snowden si inserisce in un quadro già complicato e piuttosto teso che vede contrapposte le istituzioni europee, quelle Usa e i grandi fornitori di cloud come Amazon, Google e Oracle. Proviamo a mettere in fila gli ultimi fatti. L’accelerazione è avvenuto a inzio ottobre con la decisione della Corte di giustizia dell'Unione europea di invalidare l'accordo di “Safe Harbor”, lo strumento giuridico che serviva a gestire il passaggio di dati dai server europei ai centri di elaborazione negli Stati Uniti. In pratica, il 6 ottobre i giudici europei hanno tolto di mezzo il quadro normativo che da quindici anni governava il libero trasferimento di dati transatlantico e accompagnava la crescita dell'economia digitale e delle sue società.

La scelta della Corte è stata letta dalla stampa Usa come la reazione all’incapacità di salvaguardare la privacy degli europei di fronte alle registrazioni di massa operate dai servizi. Ed è stata salutata come l’inizio di una escalation che avrebbe portato a un black out digitale. Non è stato così. La Commissione europea ha fissato in tre mesi il tempo per trovare una via d'uscita sul caso Safe Harbor. Ma il rischio di un caos giuridico-informatico è più che tangibile.

L’Irlanda nei giorni scorsi ha accusato Facebook di inadeguata protezione della privacy dei cittadini del Vecchio continente. Il Commissario per la protezione dei dati di Dublino ha dato il via a una inchiesta che esaminerà, per la seconda volta, il ricorso presentato dallo studente austriaco Max Schrems contro il re dei social networks.

In Francia è stata votata una nuova legge sulla sorveglianza che consente a diversi enti francesi di usare i dati raccolti con sistemi simili alla sorveglianza di massa americana per difendere la nazione contro il terrorismo ma anche per indagini che favoriscano l'interesse economico nazionale. In Russia una nuova legge chiede alle compagnie come Facebook e Twitter di tenere i dati nei server presenti sul suolo nazionale. In Italia la Camera dei deputati italiana ha votato una mozione a favore della Dichiarazione dei diritti in internet che dichiara la sorveglianza di massa via internet contraria allo sviluppo dei diritti umani. E sempre da noi l’Autorità garante per la privacy ha dichiarato decaduta l’autorizzazione al traffico dati sulla rotta atlantica. Cambiano solo gli strumenti contrattuali. Ma l’incertezza attuale non impedisce che domani un utente possa intentare una azione legale per chiedere la salvaguardia dei propri dati. Come dire, una soluzione oltre che a essere in agenda è urgente. Anche negli Stati Uniti la pressione è fortissima. Due anni fa il Dipartimento di Stato ha chiesto a Microsoft di leggere la posta degli utenti registrata sui server europei. Redmond si oppone. Se dovesse vincere il governo americano anche gli altri stati potrebbero chiedere l’accesso ai dati dei cittadini americani.

Vista dall’alto la situazione che si è creata è la conseguenza di un accentramento del traffico dati in poche e potentissime piattaforme tecnologiche che si devono confrontare con interessi e legislazioni nazionali. Nel corto circuito che si è creato c’è anche l’esigenza delle aziende americane in deficit di fiducia dopo le rivelazioni di Snowden di rassicurare i propri utenti. L’iniziativa di Microsoft rientra in questo quadro e rappresenta una vera e propria fuga in avanti. Come si è domandato Carsten Casper, analista di Gartner, per quanto possa essere lodevole l’iniziativa di spostare i propri data center in Europa per tranquillizzare i clienti, la soluzione non rappresenta una garanzia di sicurezza. Nulla esclude per esempio che il governo di Washington possa decidere di avviare un'azione legale per dimostrare che i dati contenuti nei server europei debbano comunque finire sotto la giurisdizione della legislazione statunitense. L’iniziativa di Microsoft quindi potrebbe complicare le cose per chi oggi a Bruxelles sta cercando un accordo con le autorità Usa. Ma al tempo stesso se venisse accolta positivamente da tutti i titani digitali rappresenterebbe un precedente ineludibile per il legislatore. Anzi, sarebbe ancora una volta il segnale che le piattaforme tecnologiche, oltre che essere ormai enti sovranazionali, sanno anche come muoversi con largo anticipo.

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