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Ti pago meno di un robot: perché in Italia non si incentivano le…

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Ti pago meno di un robot: perché in Italia non si incentivano le professioni «high skill»

Uno dei recruiter più efficienti sul mercato è capace di rintracciare il candidato adatto per un'azienda con tempi sei volte più rapidi della media, costi inferiori del 75% e un bacino di scelta che conta – letteralmente – su milioni di curricula. Non sembra neppure umano. E in effetti non lo è: si chiama Talent Party ed è una piattaforma automatica che sfrutta l'analisi dei dati per attuare un matching a tempo di record fra le richieste delle società e i professionisti con tutti i requisiti in regola.

La selezione del personale è solo una delle professioni a «rischio di automazione», i lavori che potrebbero essere svolti da robot o software nel giro di un paio di decenni. Secondo alcune ricerche il fenomeno incombe sul 47% dell'occupazione Usa e il 54% di quella europea. I lavori al sicuro? Quelli che non svolgono esercizi di routine, divisi tra high skilled (maggiori competenze cognitive, come nel caso di discipline Stem e professioni intellettuali) e low skill (maggiori competenze manuali, come nel caso di alcuni profili tecnici). Il problema è che l'Italia ha valorizzato solo gli stipendi della terza categoria: i medium skill. Cioè, proprio gli impieghi «di routine pura» dove la differenza tra intervento umano e servizi automatici si potrebbe percepire di meno.

L'anomalia italiana: lavoratori high skill, stipendi in deflazione
Il dato emerge da una ricerca dell'università di Oxford in collaborazione con Citi Group («Technology at work: the future of innovation and employment»), a firma di Carl Frey e Michael Osborne. L'argomento non è inedito: la trasformazione del lavoro innescata dalla rivoluzione digitale, la quota di impieghi che rischia di finire “automatizzata” sul breve e medio periodo. Per gli States si parla del 47% dell'occupazione, sempre secondo i dati forniti da Frey e Osborne. Nel caso dell'Europa, una ripresa della ricerca a cura del think-tank belga Bruegel fornisce un quadro ancora più drastico: media del 54% di lavori in bilico, dal 47% della Svezia al 62% della Romania.

E l'Italia? Sempre secondo l'analisi di Bruegel, si spinge sopra la media Ue: 56% di lavori «ad alto rischio» di automatizzazione. È vero, come commentano gli autori della ricerca di Oxford, che le cifre della ripresa di Bruegel possono essere «distorte verso l'alto» da un campione molto più ridotto da quello usato per gli Usa: appena 22 figure professionali contro le oltre 700 che erano state contemplate da Oxford per il mercato Usa. Ma l'anomalia, per il nostro paese, è un'altra. Ed emerge dalla variazione nelle retribuzioni registrate tra 1993 e 2006 nei tre “livelli di qualifica” (alto, medio, basso).

In quasi tutti i mercati considerati dalla ricerca, dagli Usa alla Germania, gli stipendi per le professioni high skill sono cresciuti a un ritmo superiore rispetto a quelli dei mestieri low e medium skill. Il meccanismo è lineare: più sono sofisticate le competenze richieste, più si alzerà l'asticella retributiva. Insomma: un incremento del potere contrattuale, in proporzione al valore aggiunto rispetto alle attività di routine. Peccato che in Italia, unico caso insieme ad Austria, Francia Spagna, sia successo il contrario: retribuzione oraria in discesa per i profili high skill (-1,5%), cenni di miglioramento solo quelli medium skill (+0,5%). Che è quanto dire, azzerare le ragioni di vantaggio - o rendere addirittura sfavorevole – la scelta di una formazione più qualificata.

Bonarini, Politecnico: meno allarmismi, il dato umano conta ancora
Andrea Bonarini, ordinario al dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano, invita comunque alla prudenza. «Qui non si parla di essere sostituiti da robot, ma di una normale evoluzione della capacità di elaborazione di informazioni. In altre parole: più servizi e più servizi digitali» dice Bonarini. «È abbastanza evidente che molti dei lavori attuali possono essere sostituibili. Ad esempio quando arriveranno le “auto che si guidano da sole”, la figura degli autisti potrebbe scomparire di default. E lo stesso vale per i consulenti, a fronte di calcolatori automatici che forniscono informazioni accurate. Però c'è un dato non secondario: l'aspetto umano, sociale delle prestazioni» dice Bonarini.

In altre parole: un conto è la fattibilità tecnica, un conto l'accettazione sociale di un cambio di paradigma che automatizza – nel vero senso del termine – funzioni associate alla responsabilità umana. Secondo Bonarini, i due criteri non viaggiano di pari passo. «Proprio per parlare dei consulenti: se devo investire dei soldi, sono già pronto ad affidarmi a quello che mi dice un computer? Non credo. Ci vorrà del tempo e non è scontato». Altro dettaglio, non proprio marginale: la “digital disruption” elimina alcuni lavori, ma ne crea di altri. È la stessa analisi di Frey ed Osborne a sottolineare nascita e crescita di profili sconosciuti fino a qualche anno fa come l'e-commerce manager, gli specialisti in pubblicità digitale, i data scientist. L'incidenza sull'occupazione Usa è ancora relegata a valori minimi, ma si parla di retribuzioni interessanti e una crescita che sarà dettata dal tempo. Anche in Italia? «Le tecnologie per farlo non mancano affatto. Né la qualità. È una questione di mercato, di mettersi a fare qualcosa. Perché l'unica cosa sicura è che non si può stare fermi».

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