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Dossier Le start-up italiane rendono il 30% in più di Piazza Affari

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    Dossier | N. 221 articoliPiù start-up con il Sole

    Le start-up italiane rendono il 30% in più di Piazza Affari

    Sono piccole, crescono poco ma viste dall'alto sono il segnale incoraggiante di una nuova economia. Alle start-up non si può non voler bene. Sono animate da giovani intraprendenti, a volte troppo condizionati dai miraggi della Silicon Valley ma con la testa nel futuro. Descriverle con i numeri può sembrare impietoso ma scavando un po' emerge un ecosistema vitale con poche exit ma con un potenziale di innovazione per il nostro Paese senza precedenti.
    Da quando è stato introdotto nell'ordinamento giuridico la figura della start-up innovativa sono passati tre anni, anzi per la precisione due anni e undici mesi. In questo breve lasso di tempo le start-up innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese delle camere di commercio sono cresciute fino a toccare quota 4.824, con una crescita a doppia cifra da giugno a settembre (+11,8%).

    Occupazione? I numeri sono piccoli ma i tassi di crescita sono alti. Analizzando il periodo settembre 2014-giugno 2015, il numero delle persone complessivamente coinvolte nelle startup innovative registra un incremento del 64%, passando da poco più di 13 mila unità a quasi 22 mila unità. Bilanci? Prevalentemente in rosso.
    Nel 2014, prevale la quota percentuale di start-up innovative che registra una perdita: 57,2% contro la restante quota (37,8%) che segnala un utile di esercizio. Ma le poche che vanno bene hanno Roi e Roe superiori alle società di capitali. Nel loro complesso per ogni euro di produzione le startup innovative generano in media 16 centesimi di valore aggiunto, un dato più basso di quello delle società di capitali. Limitatamente alle imprese in utile, le start-up generano, invece, più valore aggiunto rispetto alle società di capitali (33 centesimi contro 21), il 37% circa in più. Come dire, le poche che riescono a decollare generano una redditività superiore.

    Il rischio è indicato dagli esperti nella sindrome da Pmi. Il nascente (e crescente) mercato della start-up nostrane rischia di assomigliare molto, troppo al tessuto imprenditoriale italiano, formato al 95 per cento da micro-imprese che non riescono (o non possono) crescere di dimensioni. Servono capitali per crescere. Se guardiamo agli ultimi dati Aifi il comparto dell'early stage (seed e start up) ha mostrato un rallentamento sia in termini di numero di operazioni, passate da 158 nel 2013 a 106 nel 2014, con un calo del 33%, sia dell'ammontare investito, che è diminuito del 48% (43 milioni di euro nel 2014 contro gli 81 milioni dell'anno precedente).

    Va subito detto che siamo un mercato piccolo rispetto agli altri paesi. Nel periodo 2012-2014, in Italia sono stati investiti in operazioni di seed e start-up circa 260 milioni di euro, contro 1,7 miliardi in Francia e quasi 2 miliardi in Germania. Il mercato italiano del venture capital, dunque, è relativamente giovane e di dimensioni modeste. Tuttavia, qualcosa di importante si sta muovendo. Il Fondo Italiano di Investimento ha destinato a operatori di venture capital complessivamente 80 milioni di euro, mentre il fondo di fondi ha già deliberato investimenti pari a 75 milioni e vuole arrivare a 150.

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