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Dossier I Grandi: ultima chance per salvare il pianeta

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Dossier | N. (none) articoliIl mondo contro il climate change

I Grandi: ultima chance per salvare il pianeta

L'ampiezza della sfida da raccogliere l'ha subito descritta François Hollande, passato in pochi giorni dall'emergenza del terrorismo a quella dell'ambiente, nel discorso di apertura della Cop21, la ventunesima edizione della conferenza Onu sul clima: «Parigi deve essere il punto di partenza di una profonda mutazione. Il nostro obiettivo è passare da una mondializzazione fondata sulla competizione a un modello basato sulla cooperazione, dove sarà più redditizio proteggere che distruggere».

Un discorso molto concreto, in cui il presidente francese ha subito elencato le tre condizioni perché si possa dire, al termine di questi 12 giorni di negoziato – al quale partecipano 195 Paesi e l'Unione europea una volta tanto compatta – se l'appuntamento parigino è stato o meno un successo: «La prima è che dobbiamo definire un percorso credibile che consenta di contenere l'aumento del riscaldamento terrestre al di sotto dei due gradi o anche un grado e mezzo. Bisognerà quindi prevedere una valutazione periodica dei progressi effettuati, con delle tappe ogni cinque anni, e un meccanismo di eventuale correzione. La seconda è che l'accordo dovrà essere universale, diversificato per tener conto dei diversi livelli di sviluppo e vincolante. Rispettando l'impegno preso a Copenaghen di stanziare 100 miliardi all'anno per aiutare i Paesi emergenti e in via di sviluppo ad accelerare la loro transizione energetica e la loro capacità di adattamento ai nuovi impatti climatici. La terza condizione è che tutti siano coinvolti. A partire dalle imprese e dagli esponenti del mondo della finanza. In pochi anni il loro atteggiamento è profondamento cambiato, ieri erano reticenti mentre oggi sono pronti a impegnarsi. Ma dobbiamo mandare loro un segnale indispensabile, che peraltro sollecitano a gran voce, con l'introduzione progressiva di un prezzo dell'anidride carbonica affinché le emissioni abbiano un costo che corrisponda ai danni procurati».
Temi che ha ripreso, quasi parola per parola, la cancelliera tedesca Angela Merkel. Mentre anche il presidente russo Vladimir Putin ha sottolineato che l'accordo dovrà essere «vincolante».
Una sfida che Pechino e Washington (primo e secondo inquinatori al mondo, almeno in valore assoluto, con il 24% e il 12% del totale) si sono detti pronti a raccogliere. «Da principali produttori di emissioni – ha detto Barack Obama al termine di un incontro con il presidente cinese Xi Jinping – abbiamo concordato che la nostra responsabilità è di agire».
«Qui, oggi – ha poi detto il presidente americano nel suo intervento – possiamo decidere il nostro futuro e dobbiamo essere all'altezza della posta in gioco. Abbiamo ormai dimostrato che non c'è più conflitto tra crescita economica forte e protezione dell'ambiente».
Xi Jinping ha dal canto suo insistito soprattutto sulla questione Nord-Sud, chiedendo ai Paesi sviluppati di rispettare i loro impegni finanziari, immaginando anche un apporto superiore ai 100 miliardi annui oltre il 2020.

Sempre in tema Nord-Sud, a raffreddare gli entusiasmi ci ha pensato il premier indiano Narendra Modi: «Abbiamo bisogno delle energie convenzionali. Vanno rese più pulite, ma la comunità internazionale non può imporre la fine delle fonti fossili». «I Paesi sviluppati – aveva già detto Modi alla vigilia della conferenza - devono assumersi maggiori responsabilità rispetto a quelli in via di sviluppo, che devono essere autorizzati a crescere. Gli standard di vita di alcuni non devono impedire le opportunità dei tanti Paesi che sono tuttora sui primi gradini della scala dello sviluppo».
Va ricordato che in India (quarto inquinatore al mondo in valore assoluto ma molto più indietro in termini di emissioni per abitanti, 1,7 tonnellate rispetto per esempio alle 17 dell'Australia, alle 16,5 degli Stati Uniti o alle 6,4 dell'Italia) ci sono an cora 300 milioni di poveri che non hanno neppure accesso all'elettricità.
Questo non significa che l'India non abbia un suo piano di riduzione delle emissioni (40% di capacità installata da fonti di energia non fossili entro il 2030), ma vincola in qualche modo i suoi impegni all'erogazione dei fondi (i famosi 100 miliardi, per ora siamo a circa 62) e alla possibilità di accedere alle tecnologie occidentali di produzione di energia rinnovabile. Importante, in questo senso, è l'Alleanza solare internazionale presentata proprio ieri a Parigi che dovrebbe appunto garantire ai Pvs (India in testa) questo trasferimento di tecnologia.
Le questioni sono quindi tutte sul tappeto. L'accordo dovrà essere vincolante? Sì, ma non giuridicamente (nonostante l'insistenza dell'Unione europea su questo punto). E cioè senza un'autorità sovranazionale di controllo e delle sanzioni (gli Stati Uniti sono molto chiari su questo punto). Ci dovranno essere verifiche periodiche? Sì ma senza imposizioni. Bisognerà fissare un prezzo delle emissioni? Probabilmente ci si limiterà a una dichiarazione di principio sulla necessità di estendere i sistemi esistenti perché per ora è inimmaginabile un prezzo (possibilmente alto) universale. Si dovranno individuare obiettivi più ambiziosi? Sì, perché gli attuali contributi nazionali non bastano a rispettare i due gradi a fine secolo (siamo a 2,7).
Se insomma c'è una generale condivisione della necessità di fare e fare in fretta, molti capitoli sono ancora in attesa di una definizione. Questo è il compito dei negoziatori, che dovrebbero fornire un primo testo entro sabato. La palla passerà quindi ai ministri, con la speranza di arrivare all'accordo finale entro l'11.

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