Alla Cop21 dell'Onu sul clima che si è aperta a Parigi questi sono i giorni dei capi di Stato e di Governo, i giorni dell'esibizione vanitosa di obiettivi condivisi e impegni grandiosi, di grandi “commitment” sui princìpi. La trattativa vera, quella sui contenuti operativi, deve ancora cominciare e solamente dopo giovedì i Paesi dispiegheranno tutta la tastiera negoziale. Ma già oggi si delineano le tre grandi linee che dividono il mondo. Ovvero: impegni vincolanti, impegni non vincolanti, zero impegni.
L'obiettivo annunciato da tutti è voler difendere il Pianeta dal cambiamento del clima. Bisogna contenere il riscaldamento entro i 2 gradi, che gli scienziati affermano essere il limite ultimo di sicurezza; oppure entro i 3 gradi; o ancora entro i 4 gradi (che per la scienza sono già catastrofici). Sotto accusa è l'anidride carbonica che immettiamo nell'aria da ciminiere, comignoli e tubi di scappamento, più altri gas che riscaldano l'atmosfera come quel metano che sfugge libero in atmosfera senza bruciare.
Per ridurre le emissioni ci sono due modi. Il primo è il più facile e immediato: spegnere centrali elettriche, motori e riscaldamenti. Cioè spegnere l'economia e il benessere.
L'altro modo per ridurre le emissioni, più lento e meno sicuro negli effetti, è cambiare la tecnologia, per produrre come prima ma usando meno risorse.
E su queste due soluzioni si collocheranno i diversi Paesi, divisi in tre maggiori posizioni negoziali.
L'Europa con voce unica guarda ai risultati: dal negoziato dovrebbe uscire un numero per ciascun Paese, cioè la quantità di emissioni da tagliare per contenere subito il riscaldamento del clima. Lo strumento per raggiungere l'obiettivo è in sostanza sollevare il piede dall'acceleratore dell'economia. D'accordo con l'Europa ci sono quei Paesi che dal riscaldamento del clima avrebbero un disastro: per esempio gli atolli del Pacifico sono a pelo dell'acqua, e se i mari crescessero i loro paradisi sparirebbero dalla faccia del mondo.
Poi ci sono quelli che non vogliono rinunciare a premere sull'acceleratore del benessere. Capofila è l'India, ma con essa ci sono Paesi del mondo industrializzato per i quali qualche grado in più è un sollievo. Dice l'India: voi Paesi ricchi siete ricchi perché avete inquinato come ossessi; ora tocca a noi uscire dalla povertà e non accetteremo vincoli alla crescita; siamo d'accordo a difendere il clima, ma non certo a spese nostre. Nelle stanze di trattativa, i negoziatori indiani propongono accordi minimi, su princìpi generali un po' fumosi.
Infine, la posizione più forte è quella della diarchia formata da Usa e Cina, l'asse portante del negoziato di Parigi. Dicono Cina e Usa: siamo prontissimi a difendere il clima, ma vogliamo farlo a modo nostro, con i nostri tempi e con le nostre soluzioni. Impegni sì, ma non vincolanti. Lo strumento per conseguire l'obiettivo è puntare sulla tecnologia, efficienza energetica e innovazione. Stati Uniti e Cina vogliono soprattutto crescere, ma senza compromettere il clima. Nei prossimi giorni si vedrà la capacità d'attrazione di questi tre grandi poli negoziali.
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