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Dossier I piccoli dei grandi dati? Una priorità per il business

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    I piccoli dei grandi dati? Una priorità per il business

    Olycom
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    Al Web Summit 2015, Alan Boehme, Cto di Coca-Cola, è stato molto chiaro: «Le aziende che vogliono trarre vantaggio dal cloud, dal mobile e dai Big Data, devono preferire le startup alle Big dell’IT». Una dichiarazione che suona quasi da monito, e che un po’ racconta le nuove strade dell’innovazione. Eppure, nella galassia sempre più grande delle startup, quelle strettamente legate ai grandi dati sono in netta minoranza. In tutto il mondo se ne contano meno di 500, e hanno ricevuto finanziamenti da investitori istituzionali dal 2012 ad oggi per un totale di 14,48 miliardi di dollari. In Italia una recente indagine ne ha individuato soltanto 33, il 58% delle quali fondate dal 2013 ad oggi. Un numero che impatta pesantemente con la rilevazione di InfoCamere dello scorso settembre, secondo la quale il numero di startup innovative nel nostro Paese è di 4.704. Il gap con gli altri settori, insomma, è veramente enorme. E la prima causa è da ricercare nella mancanza di competenze vere in fatto di dati.

    La figura del data scientist, lo scienziato in grado di analizzare e rendere utili i grandi dati raccolti, è merce rarissima. Tanto che le Università si stanno attrezzando con corsi di laurea e master ad hoc per formarli, ed è immaginabile che nei prossimi tre anni le startup legate ai dati cresceranno in modo importante. Ma la lacuna per adesso è pesante, perché la volontà delle aziende di investire nei dati è comunque crescente. Ce lo conferma Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano: «Dalle nostre rilevazioni emerge come l’ambito Big Data Analytics rappresenta la prima priorità di investimento in innovazione digitale per le grandi imprese anche per il 2016, per il terzo anno consecutivo. Anche a livello di startup questo settore, insieme agli ambiti mobile e cloud, rappresenta l’area di maggior interesse in ambito digitale». Lo stesso Piva si è soffermato sul perché le grandi aziende debbano preferire la strada delle startup, quando ci sono di mezzo i dati: «Le startup – ci ha detto - nascono spesso con l’obiettivo di rispondere ad un’esigenza di business chiara, in modo rapido ed efficace. Questo approccio è un vantaggio per le imprese, che cercano risposte disruptive a problemi complessi, richiedendo agilità e flessibilità. Il ricorso a startup non deve essere però estemporaneo, ma legato ad un percorso di evoluzione e maturazione complessiva dell’impresa, da un punto di vista tecnologico, di strategia e di competenze».

    In sostanza, insomma, la vera sfida per le imprese è passare da un approccio legato alla raccolta e all’analisi dei dati ad uno caratterizzato dalla capacità di sviluppare modelli predittivi e nuovi prodotti e servizi. E in questo ambito, il lavoro con le startup, secondo Piva «non è solo agilità e rapidità, ma diventa un’occasione di innovazione importante ed imprescindibile».

    In questo senso, un esempio arriva da Generali, che qualche mese fa ha acquistato una startup londinese (MyDrive Solution) per applicare i Big Data al mondo delle assicurazioni. La giovane azienda utilizza l’analisi dei dati raccolti dalla scatola nera installata nelle auto per profilare gli stili di guida degli assicurati e offrire loro polizze altamente personalizzate. Un’operazione che sposa pienamente le parole del Cto di Coca Cola.

    startup@ilsole24ore.com

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