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Dossier Startup a quota 5mila. Una su 5 è in Lombardia

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    Startup a quota 5mila. Una su 5 è in Lombardia

    Erano 4.985 mercoledì scorso. All'ufficio di Infocamere erano pronti a scommettere che avrebbero raggiunto quota cinquemila in meno di una settimana. E così è stato. Le startup innovative registrate alle camere di commercio sono 5016. Fanno sette nuove aziende innovative al giorno, se contiamo che la legge sulle startup è stata approvata il 17 dicembre del 2012. Da un paio di settimana c'è stata una accelerazione con picchi di 45-50 nuove nate alla settimana.

    Un mini-boom che però non cambia più di tanto i contorni di questo giovanissimo ecosistema. Una su cinque ha preso residenza in Lombardia ma è il Trentino-Alto Adige la regione con la più elevata incidenza di startup in rapporto alle società di capitali. Milano è la provincia più popolosa ma superano le 100 startup anche Modena, Firenze e Padova. C'è anche il Sud, in particolare la Campania e la Sicilia. Mettere le bandierine sulla cartina dell'Italia però non descrive bene questo fenomeno. Scorrendo il rapporto di Infocamere relativo al terzo trimestre dell'anno scopriamo che le startup rappresentano lo 0,31% del milione e mezzo di società di capitali italiane.

    Sei su dieci, hanno un bilancio in rosso, danno lavoro a non più di 20-25mila persone, e il valore della produzione media non supera i 131 mila euro. L'ecosistema è insomma ancora immaturo. Non abbiamo “unicorni”, cioè aziende con valutazioni miliardarie. Ma non abbiamo neanche exit di rilievo. Dal 2008 al 2013, secondo Aifi, i “disinventimenti” non hanno superato le quaranta operazioni all'anno per un valore complessivo che non è mai salito sopra i 40 milioni di euro. Sicuramente è presto per assistere alla nascita di una Uber italiana. Questi numeri non descrivono minimamente il potenziale di queste “creature” che, quando sono in utile hanno indici di redditività superiori alle altre aziende.

    Inoltre, le startup continuano a generare rumore mediatico. Tra l'ultima decade di novembre e la metà di dicembre si viaggia alla media di due eventi su innovazione e startup al giorno, weekend compresi. Quanto è innovazione “parlata” e quando è business concreto è difficile stabilirlo. Una risposta parziale arriva dalla stessa Unioncamere che tiene traccia dell'esperienza startuppara ufficiale italiana. Su cinquemila società registrate solo 66 hanno cessato l'attività. Più nel dettaglio: di queste 47 sono società fino a 10mila euro. Diciannove quelle più grandine da 10mila a 50mila. La mortalità sarebbe bassissima ma è tuttavia un fattore fisiologico di qualsiasi ecosistema di innovazione: non sorprenderebbe se in futuro il dato della mortalità visibile a UnionCamere crescesse anche di un ordine di grandezza. In particolare in un settore come quello digitale la sopravvivenza può essere inferiore al 50% ad un anno dalla nascita.

    «Considerando che delle circa mille società che incontriamo ogni anno, l'85% non riesce a completare il fundraising necessario, la bassa mortalità rilevata da UnionCamere suggerisce che molte startup sopravvivono riducendo al minimo il burn rate o grazie a finanziamenti alternativi al venture capital, quale bandi pubblici e banche», commenta Claudio Giuliano, managing partner di Innogest. Secondo Giuliano proprio il sistema bancario in questi anni ha spesso supportato direttamente le imprese emergenti. «L'accesso al credito - aggiunge -, spesso non accompagnato da capitale di rischio specializzato ha talvolta ritardato la inevitabile chiusura di business che non reggono alla prova del mercato». Il rischio è quello di startup-zombie. Che sorpavvivono di piccoli espedienti. Servirebbe forse una domanda interna di innovazione e aziende grandi capaci di innovare con le piccole.

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