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Dossier Il 2016 sarà l'anno del fintech

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    Dossier | N. 221 articoliPiù start-up con il Sole

    Il 2016 sarà l'anno del fintech

    Software as a service, platform as a service, mobile business to business e business to consumer, marketplace, internet of things, e-commerce, fintech, medical device, soluzioni tecnologiche che innovano nei settori più tradizionali. Sono questi alcuni dei settori sui cui gli investitori punteranno nel 2016. Gli investitori tendono a muoversi lungo direzioni condivise, appena individuano un settore promettente destinano i capitali alle startup che operano in tale settore fino a che il processo di disrupting innovation è innescato.

    Il 2016 sarà probabilmente l'anno in cui a essere maggiormente messo alla prova sarà il settore della finanza, delle banche, delle assicurazioni. Cercare di capire e prevedere quali sono i settori più interessanti per gli investitori è importante ma non sufficiente. Serve anche guardare a come si comportano le grandi aziende, almeno quelle più innovative e lungimiranti per individuare quali sono le tecnologie che cercano e sempre più si rileva un'accelerazione nella diversificazione anche da parte dei giganti dell'internet e delle tecnologie che tendono ad ampliare la loro presenza su mercati sempre nuovi: dalla pubblicità alle auto elettriche e automatiche, dall'aerospazio alla distribuzione di cibo, dal commercio elettronico all'informazione. Tendenze di settore ma anche tendenze di tipo geografico contraddistingueranno il 2016 delle startup (si legga l'articolo sotto). Nel 2016 segnali forti arriveranno anche dall'area Mena (Middle east e north Africa) dove gli ecosistemi si stanno formando con un processo in forte accelerazione, in Paesi come Egitto, Tunisia, Marocco, Libano, Giordania sono già presenti i grandi investitori, incubatori, acceleratori americani ed europei come Numa, YCombinator, 500Startup, Endeavor (indiscrezioni danno per probabile che Endeavor decida di aprire i suoi fondi anche all'Italia entro i primi mesi del 2016).

    Guardando all'Italia il 2016 sarà un anno cruciale perché si è di fronte a un bivio. Da un lato la grande capacità imprenditoriale e le grandi competenze, dall'altro un sistema che si basa su principi che hanno dimostrato di non essere propriamente efficaci. L'approccio basato su normative che puntano più al numero delle startup che alla loro capacità di crescere, e benché il numero elevato possa essere di interesse per associazioni, governo, istituzioni varie, premi e altro, non è sintomo di un sistema sano; sugli investimenti con soldi pubblici vuoi a fondo perduto, a garanzia di prestiti o con il modello del venture capital, e sull'eccesso di vincoli e burocrazia, per gli investitori privati ha prodotto fino a oggi risultati deludenti.

    L'ammontare degli investimenti in startup early stage è ancora molto basso, circa 130 milioni di euro nel 2015, briciole in confronto alle simili economie d'Europa; poi l'eccessiva presenza dei fondi pubblici distribuiti con criteri non dettati dal mercato ma più simili a politiche di incentivo in vigore nel secolo scorso consente di tenere in vita startup che in un sistema sano morirebbero rapidamente rendendo così difficile concentrare le risorse sulle aziende più promettenti e più complesso il loro processo di internazionalizzazione. Il rischio è avere nel medio termine tantissimi imprenditori tenuti in vita dalla flebo del soldo pubblico e quindi più difficilmente capaci di confrontarsi con il mercato, di crescere e creare vero valore economico e industriale. Solo se si tornerà a dare priorità al mercato e alla capacità degli imprenditori si potrà sperare che nel 2016 in Italia si verifichi un netto aumento della disponibilità di fondi di investimento e nell'affermazione del nostro ecosistema a livello internazionale.

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