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I numeri della nanomedicina

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Nano World Cancer Day

I numeri della nanomedicina


Piccolissimi “shuttle” in grado di trasportare farmaci dentro le cellule tumorali, per una terapia mirata che riduca gli effetti collaterali e massimizzi l'efficacia delle molecole introdotte. È la nuova frontiera della ricerca oncologica: vettori tra i 20 e i 500 nanometri (un miliardesimo di metro) capaci di veicolare sia i tradizionali farmaci chemioterapici sia quelli biologici, come acidi nucleici e proteine.

Sono più di 230 i nanofarmaci attualmente testati sull'uomo, il 30% dei quali sono per la cura del cancro. Due i filoni di ricerca più promettenti, ricordati oggi all'università Bicocca di Milano durante l'edizione 2016 del “Nano World Cancer Day”, evento internazionale organizzato da Etpn (European Technology Platform for Nanomedicine) in collaborazione con le Istituzioni locali. «La prima strategia che l'Istituto nazionale tumori di Milano sta portando avanti a livello preclinico con l'università australiana di Melbourne riguarda nanoparticelle intelligenti che sfruttano le variazioni delle caratteristiche chimico-fisiche, in particolare l'ossidoriduzione, comportandosi da minuscoli “Caronte” in grado di traghettare i farmaci all'interno del tumore», spiega Nadia Zaffaroni, direttore della Struttura complessa di farmacologia molecolare della Fondazione Irccs Int.

La seconda via, studiata dall'Int in collaborazione con Mauro Ferrari allo Houston Methodist Research Institute americano, «è ancora più innovativa - prosegue l'esperta - perché utilizza i “leukolike”, nanoparticelle che ingannano il cancro perché rivestite da membrane ottenute dai globuli bianchi (o leucociti, ndr)». Il corpo infatti richiama queste cellule del sistema immunitario - e quello che a loro somiglia, come i leukolike - a livello degli endoteli infiammati del tumore, permettendo a leucociti e simili di entrare nelle cellule. Una volta dentro, come “cavalli di Troia” i leukolike potranno rilasciare il farmaco in modo mirato. La ricerca è attualmente concentrata sui sistemi di riconoscimento della “fermata giusta” per i nanoshuttle, sui metodi per aprire loro le porte biologiche e sulle chiavi per superare le barriere.

Il settore è dunque ricco e attivo. In Europa sono più di 500 le piccole e medie imprese, tra farmaceutiche, aziende biotech, chimiche e di tecnologie mediche, che operano nella nanomedicina, 150 negli Stati Uniti. Attualmente sono circa 49 i nanofarmaci presenti sul mercato, per un valore complessivo che oscilla tra i 100 e 130 miliardi di dollari. Sul fronte della sperimentazione sono più di 230 i nanomedicinali attualmente testati sull'uomo, il 30% dei quali per la cura del cancro.

«Penso che l'obiettivo cui tendere sia portare la ricerca nanomedica verso un'applicazione clinica per la salute dell'uomo», ha detto Cristina Messa, rettore dell'università Bicocca. Ma per portare l'innovazione al letto del paziente, non basta il lavoro in laboratorio, serve una visione d'insieme che permetta agli scienziati italiani di sedersi ai tavoli decisionali europei. «Pochi dei nostri ricercatori sono preparati dal sistema universitario a vedere tutta la filiera - osserva Furio Gramatica della Fondazione Don Gnocchi e dell'Etpn-European Technology Platform for Nanomedicine, un organismo che raggruppa istituzioni di ricerca, aziende farmaceutiche e scienziati per promuovere la ricerca e lo sviluppo della nanomedicina - Quindi scientificamente sono molto bravi, competitivi a livello europeo e mondiale». Tuttavia, precisa, «non sono pronti ad affrontare la filiera completa. Non riescono a parlare con un'azienda farmaceutica, con una piccola media impresa». «Molte delle start up create da ricercatori o spin off universitari - continua Gramatica - hanno come unico cliente l'università stessa e quindi sono quasi prolungamenti dei dipartimenti. Probabilmente servirebbe un'educazione a più ad ampio spettro, non solo scientifica, ma sull'intera filiera applicativa della scienza, sulla sua ricaduta. Ovviamente quando fanno ricerca applicata».

L'Unione europea, tra il 2008 e il 2014, ha finanziato più di 50 progetti di nanomedicina che vanno dalla messa a punto di nuovi sistemi di somministrazione dei farmaci nanostrutturati alla medicina rigenerativa, fino alla creazione di nanoparticelle per la diagnostica precoce. Nel maggio 2013 la Etpn ha avanzato alla Commissione europea la «coraggiosa proposta» di investire oltre 700 milioni di euro entro il 2020 per permettere ai progetti promettenti di arrivare all'industria. «In questo momento siamo in una fase sperimentale che sta andando bene - afferma Gramatica -. La Commissione, su spinta della piattaforma, ha investito 600 volte il costo della piattaforma stessa. Questo significa che bisogna investire tempo e competenze manageriali per partecipare ai meccanismi europei, non solo alla ricerca. In Europa lo spazio c'è». In particolare per la nanomedicina, saranno 16 le call all'interno del programma Horizon 2020, oltre a quelle relative al policing making.

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