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Cyber security, Pmi italiane più sicure perché ancora poco…

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Cyber security, Pmi italiane più sicure perché ancora poco digitali

  • –di Biagio Simonetta

Le innovazioni danno origine a nuove priorità, ma troppo spesso corrono più veloci di chi deve adeguarsi. È un po' questo quello che sta succedendo al settore industriale, investito dalla trasformazione digitale ma ancora non pronto alle minacce informatiche che ogni giorno provano a contaminarlo. Se ne è parlato stamattina all'auditorium milanese Gio Ponti di Assolombarda, all'interno del convegno “Cyber Security: tecnologie, innovazione e infrastrutture”. Un incontro fra esperti e industriali per fare il punto sullo stato delle cose, ma anche – più semplicemente – per parlarne ed uscire da un silenzio che crea solo guai.

A margine del convegno, Il Sole 24 Ore ha incontrato Alvise Biffi, Presidente della Piccola Industria di Assolombarda e Ceo di Secure Network, azienda milanese con sede anche a Londra. «Parlare di cyber security a livello industriale – ci ha detto – è una tematica quanto mai attuale e di prospettiva. Siamo davanti a una rivoluzione digitale che ci porterà all'Industria 4.0, all'Internet of Things, alla domotica. La produzione industriale sarà sempre più connessa, e questo non farà altro che innalzare il rischio. Il digitale sta ridisegnando il modo di lavorare nelle imprese, a cominciare dai processi produttivi, dalla cultura organizzativa e dai tempi e gli spazi di comunicazione. Una rivoluzione che se da un lato ha favorito le relazioni tra persone, aziende e istituzioni per finalità sociali, economiche e finanziarie, dall'altra ha creato nuovi spazi per attività criminali. In questo scenario Assolombarda per far fronte ai bisogni delle aziende ha creato nuovi servizi per le imprese nell'ambito, per esempio, del digitale e del trasferimento tecnologico, della sicurezza informatica, della ricerca e dell'innovazione». Ma qual è la situazione attuale in Italia? Dalle parole di Biffi e da alcuni dati resi pubblici durante la mattinata, il quadro italiano ha risvolti pressoché unici. La scarsa digitalizzazione delle nostre Pmi, da una parte ci assegna un'etichetta di arretratezza rispetto ad altri paesi d'Europa, dall'altra le tiene al riparo da attacchi informatici che altrove sono già concreti. «Oggi siamo davanti a una sottostima pesante del problema, ma c'è un dato che ci tiene ancora al riparo. – ha affermato il Presidente della Piccola Industria di Assolombarda – La nostra arretratezza dal punto di vista digitale è un male per la produttività, ma paradossalmente è un bene in fatto attacchi informatici. La digital trasformation, tuttavia, è dietro l'angolo. Per questo è doveroso attrezzarsi».

Biffi non vuole sentir parlare di paura, ma allo stesso tempo ritiene necessaria un'inversione di rotta. «Non è solo una questione tecnologica. In Italia abbiamo menti eccellenti e ottime scuole. Il discorso, però, deve partire dalla formazione e dalla cultura. Oggi non c'è la reale percezione del problema. Esistono truffe a industrie da milioni di euro perpetrate attraverso attacchi informatici. Ci sono ransomware in grado di bloccare i sistemi informatici di un'azienda e chiedere riscatti costosissimi per lo sblocco. Eppure se ne parla pochissimo. Per questo – ha detto ancora Biffi – abbiamo voluto questo convegno. È necessario fare informazione per far aumentare la consapevolezza. Realizzare una politica efficace di cyber security significa aiutare le imprese a compiere quel processo di cambiamento culturale legato alla trasformazione digitale, tutelando gli asset strategici aziendali».

Il Presidente della Piccola Industria indica anche la strada: «È una lotta importante e serve un connubio pubblico/privato per costruire strategie di difesa comuni. Oggi si pensa all'efficienza del prodotto e poco alla sicurezza del processo. Ma molto presto non basterà più. Dobbiamo attrezzarci». Qual è lo stato del problema in Italia? Per Biffi è difficile dirlo: «Non c'è un dato veritiero. Esistono statistiche più o meno interessanti, ma sono tutte sottostimate. Il comportamento dell'imprenditore attaccato è spesso indirizzato al silenzio. Le imprese tendono a non rendere pubblici gli attacchi ricevuti, così veniamo a conoscenza solo dei grandi casi (come quello di Sony qualche mese fa). Posso dire con ragionevole certezza che oggi il problema è molto più grade di quello che appare».

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