Leica si tuffa nel mercato dei telefoni cellulari con una partnership assieme alla cinese Huawei, terzo produttore al mondo di smartphone dopo Samsung e Apple. Ma chi sono oggi i tedeschi che circa un secolo fa hanno inventato il cosiddetto “piccolo formato”, il 35mm e che oggi vendono macchine fotografiche e obiettivi estremamente costosi, da 4mila euro in su?
La Ferrari delle macchine fotografiche ha sede in Germania, a Wetzlar, piccola città dell'Assia a poco più di un'ora di macchina da Francoforte. Una città la cui storia è legata a doppio filo con la ricerca sulle proprietà ottiche del vetro e sullo sviluppo di quelle macchine fotografiche che sono considerate tra le più belle di sempre e che sono state adoperate da tutti i più grandi giornalisti di cronaca e di street photography della storia, a partire da Henri Cartier-Bresson sino a Gianni Berengo Gardin e al grande e purtroppo recentemente scomparso Mario Dondero.
Leica, che in origine si chiamava Ernst Leitz GmbH, dal suo fondatore, è nata alla fine dell'Ottocento ereditando precedenti stabilimenti e maestranze per la produzione di microscopi e strumenti di precisione. Nel 1913 uno dei suoi tecnici, Oskar Barnack, appena assunto dalla concorrente Zeiss, sviluppò il prototipo di un sistema di macchine fotografiche e obiettivi basati sulla pellicola cinematografiche in formato 24x36, quello che sopravvive fino ad oggi nel formato analogico ed è la base per la definizione dei sensori “full frame” nella fotografia digitale.
Leica portò avanti la produzione di macchine fotografiche, a partire dagli anni Venti a tutto il dopoguerra. Situata nella parte “giusta” della Germania, non venne assorbita dal blocco sovietico, come invece capitò alla concorrente Zeiss. Nel primo dopoguerra Leica lanciò la serie di macchine fotografiche a telemetro “M”. Divennero in poco tempo leggendarie: amate da tutti i più grandi fotografi e fotogiornalisti, univano la praticità di un formato ridotto (rispetto agli apparecchi medio formato) e l'eccellente qualità dei suoi obiettivi.
La leggenda di Leica, perché di questo si tratta, nel dopoguerra cresce. L'azienda, i cui prodotti di alta manifattura sono comunque nella fascia più costosa di mercato, diventano sempre più esclusivi e resistono ai prodotti giapponesi che, a partire dagli anni Settanta, dominano il nascente mercato delle macchine reflex. Leica riduce il giro di affati ma non va in crisi. Invece, con l'arrivo del digitale, i tedeschi non riescono a tenere il passo. Anzi: l'azienda, che nel frattempo ha assunto il nome del suo principale prodotto, Leica (dalle iniziali di LEitz CAmera), fa vanto nelle sue pubblicità degli anni Novanta e inizio Duemila di essere legata alla tradizione della pellicola chimica e della fotografia analogica. In pochi anni arriva sull'orlo della bancarotta. E viene rilevata da Andreas Kaufmann, riservato imprenditore austriaco figlio di una genia di produttori di carta, sessantottino non pentito (laureato in letteratura tedesca all'inizio degli anni Ottanta ha passato venti anni a insegnare in una scuola steineriana) dal 1998 tornato a fare il capitalista a tempo pieno con la sua ACM Projektentwicklung, società di investimenti che tramite la Lisa Germany Holding controlla Leica assieme al fondo di investimenti americano Blackstone.
Leica viene messa in mano ai consulenti di Porsche Consulting che disegnano il futuro dell'azienda, scegliendo strategie di ricerca sui prodotti, di comunicazione e di immagine. In poco tempo viene invertita una tendenza che invece colpisce molte imprese europee: il “dinosauro della pellicola” era una azienda altamente specializzata, schiacciata dalla delocalizzazione e dai costi eccessivi del lavoro e con una capacità di innovazione sempre più ridotta. Sotto la guida di Kaufmann, che fa da presidente del consiglio di amministrazione e da front-man di Leica, l'azienda si tuffa nel digitale, ridisegna la sua immagine, mette innovazione nella parte tecnologica dei suoi prodotti e tanto marketing in quella commerciale. Nasce il programma “Leica à la carte”, ad esempio, che permette di personalizzare l'apparecchio fotografico aggiungendo colori e componenti a piacere, a un prezzo ovviamente più alto. E le serie limitate: tanto che le Leica serie M diventano oggetti da collezione, sia quelle “antiche” a partire dagli anni cinquanta che quelle prodotte oggi. Infine, nuovi prodotti (la serie T, che ha poco successo, la nuova Q, che è il vero cavallo di battaglia della moderna Leica, e la nuovissima e molto potente serie SL) capaci di innovare ma anche di sfruttare il valore del brand per chiedere prezzi molto alti: fino a dieci, quindicimila euro per macchina più un obiettivo. Leica lancia anche una catena di negozi monomarca in tutto il mondo, assume e investe esattamente come fece a partire da quindici anni fa la Apple di Steve Jobs, e rilancia promuovendo fotografi ed eventi legati al mondo dell'immagine, del quale è stata protagonista nel dopoguerra.
Oggi l'azienda, che è stata delistata e non ha bilanci pubblici, mostra di essere economicamente solida. È riuscita a trasformare scommesse come la Leica M Monochrom (in tedesco senza la “e” finale, una macchina fotografica da ottomila euro solo corpo che scatta esclusivamente immagini in bianco e nero) in una nicchia di successo. L'azienda ha una forte alleanza con Panasonic (gruppo Matsushita) per il quale firma alcuni obiettivi delle mirrorless formato Micro Quattro Terzi, e alcuni apparecchi fotografici entry level prodotti da Panasonic vengono rimarcati Leica (come la Leica D-Lux Typ 109, analoga alla Panasonic Lumix LX100). Non sono chiari i termini dell'accordo, soprattutto cosa fanno l'una e l'altra azienda, così come non sono mai stati chiariti per quanto riguarda l'accordo siglato a febbraio con Huawei per la fotocamera dei nuovi telefoni P9. Chi produce il sensore? L'ottica? Il chip e il software per processare i dati catturati dal sensore? Particolari che non vengono rivelati ma che molti analisti ritengono siano parte di una alleanza di marketing più che realmente tecnologica. Leica ispira la filosofia delle scelte tecnologiche (il doppio sensore con una parte a colori e una in bianco e nero) ci mette il brand e “approva” il progetto finale. Ma non fa la ricerca e lo sviluppo, affidata tutta ai cinesi. È un modo anche questo per sconfiggere la crisi e sfruttare a proprio vantaggio la globalizzazione del mercato.
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