Sempre più exit, capitali in crescita e quasi 90 programmi di accelerazione registrati nei primi mesi del 2016. Sarà ancora presto per parlare di un «ecosistema europeo delle startup», ma il Vecchio Continente ha insediato i suoi hub per la formazione e la crescita di imprese innovative. In testa ci sono due poli d'attrazione come Berlino e Londra, capaci di concentrare su di sé quasi un quinto (16%) del valore delle exit globali (la vendita dell'azienda o dell'idea imprenditoriale).
Ma anche in scenari più modesti come Paesi Bassi, Francia e paesi della Scandinavia si fa largo una “via europea” stretta tra le fucina degli Stati Uniti, l'espansione accelerata dell'Asia e una manciata di outsider da Sud America e Australia. La partita inizia dalle strategie di scouting e incubazione, il primo ingranaggio nel processo di training per le imprese alle prova del mercato. Uno studio di Eu-startups ha registrato in 30 paesi europei un totale di 86 programmi di accelerazione, i “corsi intensivi per startup” avviati in periodi ben definiti (la media è di 14 settimane) e un finanziamento di partenza che comprende anche mentorship e impiego di spazi condivisi.
Troppi? Non ancora: «In relazione alla popolazione dell'Europa e agli Stati Uniti, ci sono ancora parecchi margini per far crescere nuove startup» scrivono gli autori dell'indagine, alludendo al fatto che le startup europee hanno bisogno proprio di «un po' di finanziamenti e assistenza» per viaggiare a regime.
I presupposti ci sono. Secondo l'analisi del The Global Startup Ecosystem ranking 2015, le exit europee sono volate del 314% nell'arco di due anni contro il “solo” incremento del 46% degli Stati Uniti. E se si allarga lo sguardo al mercato del tecnologie nel suo complesso, l'European Tech Exits 2015 di Tech.eu ha contato un totale di 594 accordi per un valore complessivo di 136,75 miliardi di euro, con un rialzo del 71% rispetto al 2014.
Nel dettaglio? Berlino vanta due stelle come la piattaforma di startup Rocket Internet e il gigante dell'e-commerce Zalando, entrambe quotate sul listino di Francoforte. Londra attrae un decimo del valore mondiale delle exit e conta su un ecosistema con un valore di 44 miliardi di dollari. Senza contare quello che fermenta a margine delle due “capitali” della scena continentale: la Francia ha chiuso il 2015 con 115 finanziamenti per un valore complessivo di quasi un miliardo, la sola Amsterdam (Paesi Bassi) incide per il 2,5% sul valore delle exit dei primi 20 hub mondiali, la Norvegia sta spingendo sugli investimenti in startup per diversificare un'economia troppo dipendente dal petrolio.
Gli entusiasmi si raffreddano se si tengono in considerazione i due problemi di fondo della scena europea: il valore ancora modesto delle stesse exit e il rischio di concentrazione su singole città e singoli incubatori. Se si parla di impatto economico reale, la sola Silicon Valley cattura il 47% del valore delle exit contro il 20% cumulato dalle uniche quattro città europee (Londra, Berlino, Amsterdam, Parigi) nella top 20 realizzata da Compass. E, come annota l'Osservatorio P101, lo stesso boom di exit (+314%) rischia di essere più «drogato» da exploit isolati che retto su un'infrastruttura solida. Forse perché l'innovazione viaggia ancora su più velocità, tra scenari molto diversi per rimi e strutture imprenditoriali. La City londinese registrava tra 2013 e 2014 fino a 5.400 startup tecnologiche. In tutta Italia, nel primo trimestre 2016, se ne contano poco più di 5.600.
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