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Effetto Brexit, verso una nuova economia dei dati Ecco tutti i rischi che corre il Regno Unito

Fra i tanti, tantissimi, effetti del “leave” ce ne sono alcuni che hanno una correlazione diretta con le tecnologie. Il sogno di un mercato digitale unico e di una data economy più integrata su scala comunitaria rischia infatti di dissolversi definitivamente mentre si profila (per il Regno Unito) la necessità di una nuova infrastruttura informatica nazionale. L'analisi del Financial Times è arrivata puntuale in mezzo al bailamme di ipotesi più o meno catastrofiche sul futuro delle startup innovative (del fintech, ma non solo) che hanno scelto in questi anni Londra come trampolino di lancio globale.
Ad “approfittare” della rottura votata dagli inglesi nel referendum del 23 giugno ci sarebbero in prima fila le grandi aziende tech americane, pronte a muoversi per costruire nuovi dati center e sistemi di sicurezza per la protezione dei dati in chiave nazionale. C'è però un evidente rovescio della medaglia legato alla possibile edificazione di un'isola tecnologica blindata verso l'esterno, ed è quello della perdita dei vantaggi che poteva assicurare una gestione dei flussi di dati e l'accesso “open” alle informazioni attraverso piattaforme cloud su scala europea.
Uscire dall'Ue significa per il Regno Unito (o l'Inghilterra almeno) anche abbandonare il quadro normativo europeo in termini di privacy e trattamento dei dati, il cui nuovo ordinamento sarà effettivo nell'arco dei prossimi 18 mesi al più tardi. A febbraio è stato annunciato il nuovo accordo fra Stati Uniti e Europa - il “Privacy Shield”, che va a sostituire il decaduto “Safe Harbor” - sulle modalità di trasferimento dei dati personali degli utenti oltreoceano e sulle garanzie che dovranno essere rispettate dal governo Usa e dai servizi di intelligence americani. Si parlava in proposito di “standard europeo” e lo si faceva con il Regno Unito parte integrante della Ue a 28.
Se le grandi aziende britanniche saranno loro malgrado obbligate a memorizzare ed elaborare le informazioni a livello locale, le opportunità di business per i vendor di informatica aumenteranno di conseguenza. Un'azienda come Unisys, come scrive il Financial times, annovera già fra i suoi clienti importanti compagnie finanziarie (Metropolitan Police e Lloyds Bank fra queste) che saranno gioco forza interessate a soluzioni per consolidare la propria infrastruttura all'interno del Regno Unito piuttosto che distribuirla in tutta Europa. Aumentando le barriere infracomunitarie, insomma, la tendenza all'in-shoring delle piattaforme It (dove viaggiano e si archiviano i dati) aumenterà progressivamente e verranno meno i benefici assicurati dalla libera circolazione in formato digitale delle informazioni.
La gestione dei dati su scala nazionale avrà inoltre un impatto non indifferente in termini di costi complessivi per l'implementazione delle infrastrutture informatiche e tecnologiche deputate a farlo. Un giro di vite e una forzatura che secondo alcuni penalizzerà anche le startup che ancora non si sono attrezzate per riconfigurare i loro sistemi in vista di un crescente isolamento di grandi volumi di dati. La divergenza di regole nel trattamento delle informazioni fra Regno Unito e Ue, infine, potrebbe rendere più difficile, per le aziende aventi sede in terra britannica, il trasferimento dei dati oltre confine e le relazioni commerciali con i clienti basati nel resto d'Europa.
Se il governo di Londra dovesse decidere di andare avanti in totale autonomia su privacy e dati, il rischio che scoppi una controversia come quella che ha portato alla bocciatura del Safe Harbor è enorme. Il Regno Unito, in altre parole, diventerebbe una sorta di corpo estraneo (in ambito digitale) e non adeguato rispetto al resto dell'Unione, esattamente come hanno rischiato di diventarlo gli Stati Uniti. La nascita di mercati ed ecosistemi It di livello nazionale, si legge ancora sul Financial Times, piuttosto che di singole infrastrutture regionali, renderebbe inoltre complicato la crescita di aziende tech europee in grado di dialogare a pari livello delle aziende americane e dei giganti cinesi.
In assenza di un mercato comune (il digital single market tanto auspicato dalla Commissione europea), alcuni cloud provider del Vecchio Continente non sarebbero in grado di raggiungere le economie di scala necessarie per competere a livello mondiale e dovrebbero fare affidamento ai data center locali gestiti da Amazon Web Services e Microsoft, che già operano su un ordine di grandezza superire. Fra i tanti possibili impatti di Brexit, insomma, c'è anche quello di una progressiva affermaziione di un duopolio di Amazon e Microsoft. E questo ipotetico ma probabile scenario, come ammette un anonimo rappresentante di un'azienda che offre servizi nella nuvola, è di per sé un problema.

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