Ne ha parlato in modo criptico Apple all’ultimo Wwdc annunciando che ad esempio per migliorare l’intelligenza artificiale alla base di Sri, supporterà la differential privacy. I dettagli non sono noti. La “pratica” è però da tempo sulle scrivanie di accademici di matematici.
La bibbia è “Foundation of Differential Privacy” di Aaron Roth, docente della University of Pennsylvania e Cynthia Dwork, ricercatrice di Microsoft. Sulla palla ci dovrebbe essere anche Google che dice di averla implementata in alcuni dei suoi servizi (in particolare nel sistema di raccolta dei dati del browser Chrome).
In che cosa consiste? Sappiamo che la crittografia end-to-end è in grado di impedire a terze parti di avere accesso ai flussi di comunicazione e ai dati archiviati nei dispositivi. Alcuni ricercatori hanno però dimostrato che è possibile identificare con una certa precisione le persone anche se i dati all'interno del database sono stati anonimizzati. La dimostrazione è matematica. In altre parole, interrogando più volte il database è teoricamente possibile dalle informazioni raccolte in forma anonima risalire dal set di dati alla persona che li ha generati. Per evitare ciò la privacy differenziale mette in atto tre operazioni (hasting, subsampling e noise injection) per “sporcare” i dati. Sostanzialmente per nascondere l'identità di chi ha generato le informazioni viene introdotto del “rumore” nelle risposte della base dati.
Per ora si sa poco. Per esempio, non sappiamo quando e su quali prodotti-servizi verrà utilizzata la privacy differenziale da Cupertino. Ma sappiamo quali sono i vantaggi. La tecnica consente di estrarre più informazioni possibili per alimentare i sistemi di intelligenza artificiale e machine learning. In teoria quindi si potranno migliorare i servizi di profilazione e previsione dei comportamente degli utenti senza il pericolo di tracciare l’identità dei fornitori di dati. Estrarre più valore dai dati senza il pericolo “teorico” di poter ricostruire” l'identità di un singolo. Un colpo definitivo ai sospetti per chi come Google e Facebook (non Apple) guadagna con la pubblicità e con l’offerta di servizi basati sul comportamento (anonimo) degli utenti.
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