Chiara piuttosto che semplice, ma anche accurata e coinvolgente. Oltre che in grado di trasmettere «la verità al meglio della tua comprensione di essa». Così Alberto Cairo ha descritto l'infografica “perfetta” intervenendo martedì al Microsoft Data Driven, evento promosso dal colosso dell'informatica e ospitato a Milano nei locali di Talent Garden Calabiana.
Responsabile della creazione del dipartimento di infografica interattiva nella redazione di El Mundo, già direttore per le infografiche e la multimedialità ad Editoria Globo in Brasile, tra il 2005 ed il 2009 ha insegnato alla scuola di giornalismo dell'università del North Carolina-Chapel Hill. Autore di diverse pubblicazioni dedicate alla data visualization, oggi insegna alla scuola di comunicazione dell'università di Miami, in Florida.
«La data visualization è una rappresentazione grafica delle informazioni che vuole rivelare ciò che non si potrebbe vedere normalmente. La questione», ha spiegato, «sta nell'estrarre significato dai dati. E questo è possibile solo quando li si trasforma in un grafico». Vale per chi fa informazione, ma anche per le aziende: «è uno strumento essenziale oggi per la data analysis. Ci sono dati che non si potrebbero capire se non visualizzandoli, anche solo per sé stessi. In questo modo possiamo vedere storie all'interno dei numeri, che altrimenti potrebbero non essere nemmeno notate».
Non si tratta, insomma, solo di estetica. «Certo, una visualizzazione deve essere attraente. Abbiamo già evidenza del fatto che se si vuole mandare un messaggio è più efficace una combinazione di parole e grafici che un semplice testo scritto. Ma bisogna essere anche convincenti». Il fattore chiave sta nella capacità dei grafici di essere «truthful», ovvero capaci di restituire la propria miglior comprensione della verità, di «svelare la storia nascosta nei dati». Questo vale però, in generale, per tutto il giornalismo.
«Una buona grafica deve essere elegante, bella, ben disegnata, capace di non frustrare il lettore», ha proseguito, «e poi deve presentare una quantità appropriata di dati. Spesso si pensa che le visualizzazioni debbano semplificare, ma questa è una parola pericolosa, il rischio è quello di semplificare troppo: io preferisco parlare di chiarificazione, che può anche voler dire aumentare la massa di informazioni» all'interno di una visualizzazione. Il tutto in un «bilanciamento tra attrattività e leggibilità», che richiede però anche un occhio critico da parte del lettore: «i grafici», questo il monito di Cairo, «vanno letti, non semplicemente visti».
Che la data visualization rappresenti oggi un'arma potente nelle mani dell'industria dei media lo dicono i numeri. «La storia più letta sul New York Post è un'infografica interattiva dedicata ai dialetti», che si apre con un quiz che chiede al lettore di scegliere tra diverse espressioni con il medesimo significato. E, a seconda delle risposte, lo colloca su una mappa degli Stati Uniti, in una correlazione tra espressioni gergali e provenienza geografica. «Il Washington Post ed il Tampa Bay Time hanno vinto un Pulitzer grazie a delle visualizzazioni».
Non si pensi, però, che questo strumento possa essere la chiave per risollevare i giornali dalla crisi.
«Sinceramente, al momento non so nemmeno dire se le industrie dei media sopravviveranno», la risposta del professore, «se lo faranno, saranno diversi da come sono oggi». Questo, però, «non significa che il giornalismo sparirà. Sopravviverà in altri modi: esistono già molte piccole iniziative interessanti come El Diario in Spagna, che sta già generando profitti. E in questo cambiamento la data visualization rappresenta soltanto una componente».
Per far capire a fondo come i dati possano condizionare anche la vita quotidiana, Cairo ha raccontato che, dopo essersi trasferito a Miami, si è posto il problema della scuola in cui iscrivere i figli. Per risolverlo ha scaricato gli open data del distretto scolastico cittadino alla ricerca di quelle in cui gli studenti ottenessero risultati più brillanti. Un esempio che indica che dobbiamo prepararci a vivere una vita data driven? «Già oggi ci sono persone con un approccio quantitativo, che tracciano ogni cosa. Direi che non dovremmo essere tutti così ossessionati». Piuttosto, «c'è un valore nell'essere data literate. Non è questione di collezionare dati, ma di essere educati a comprenderli. C'è una forte mancanza di competenze statistiche nella popolazione, che invece si potrebbero imparare con un po' di matematica». Una lacuna che, secondo Cairo, «accomuna molti Paesi che non insegnano ai cittadini ad approcciare il mondo in maniera scientifica». Prima di rappresentarli, infatti, i dati è necessario comprenderli.
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