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Contrordine. I robot non ci ruberanno più il lavoro

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Contrordine. I robot non ci ruberanno più il lavoro

Olycom
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Sorpresa, la tecnologia e l'automazione in particolare non ruberanno più l'impiego ai lavoratori, anche se, e non può stupire, le criticità in materia non scompariranno. È la conclusione del recente studio – a cura del Dipartimento OECD per l'occupazione, il lavoro e gli affari sociali – intitolato “Il rischio dell'automazione per gli impieghi nei Paesi OECD: un'analisi comparativa”: nelle conclusioni della ricerca, portata a compimento dagli analisti tedeschi dello ZEW di Mannheim, il Centro per la Ricerca Economica Europea, si mette in evidenza come solo il 9% degli attuali impieghi in 21 Paesi del mondo sia potenzialmente destinato a essere svolto in futuro da macchine automatizzate o da robot.

Lo studio, per esplicita ammissione dei ricercatori che l'hanno effettuato, è una risposta in particolare a un precedente paper pubblicato nel 2013 dall'Oxford Martin School, “Il futuro dell'impiego: quanto sono suscettibili ai cambiamenti tecnologici i lavori”, che aveva fatto molto discutere indicando nel 47% l'astronomica percentuale di impieghi cancellati solo negli Stati Uniti dalla robottizzazione del lavoro nei prossimi vent'anni. In questo nuovo documento, invece, gli autori, che affermano di aver impiegato un nuovo metodo basato sull'analisi comparativa delle “mansioni” (tasks) di cui si compongono i vari lavori, è emerso che molte di queste mansioni sono meno sensibili allo sviluppo tecnologico di quanto si potesse pensare, in quanto di natura non-routinaria e soprattutto interattiva.

In particolare, negli Usa, la nazione tecnologicamente più sviluppata del mondo, la percentuale di lavori a rischio-robot è drasticamente più bassa di altri studi come quello dell'Oxford Martin, e perfettamente uguale alla media dei 21 Paesi membri dell'OECD presi in esame: il 9% (la Corea del Sud invece ha il 6%, mentre la Germania e la Spagna il 12%, Inghilterra e Italia il 10%). Gli autori spiegano che le differenze tra le nazioni sono dovute alla diversa organizzazione del lavoro, agli squilibri negli investimenti in tecnologia e automazione e, aspetto interessante, alle diseguaglianze a livello di educazione e formazione dei lavoratori nei singoli Paesi. Proprio l'educazione, si legge nelle conclusioni del paper ZEW, che richiama anche alla prudenza nell'interpretazione dei numeri di questa come delle altre ricerche in tema, è l'ago della bilancia in grado di aumentare o diminuire sostanzialmente l'incidenza dell'automazione - e quindi del rischio di perdita dei posti - nel mondo del lavoro in futuro: è chiaro, in quest'ottica, che le occupazioni a basso tasso di educazione e formazione sono e saranno sempre di più quelle a rischio di estinzione a mezzo robot. Viceversa, più sale il livello di scolarizzazione e di complessità delle mansioni lavorative, minore è il rischio che queste possano venire appaltate a macchine intelligenti. Anche se può sembrarlo, non è una considerazione da sottovalutare ed è una delle prime ad andare controcorrente in maniera motivata in questo campo: al contrario, offre una chiave di lettura interessante delle potenziali, ulteriori, diseguaglianze a venire in un panorama già complicatissimo, come quello del lavoro nel mondo iperglobalizzato 3.0.

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