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IL CAPITALE DA SALVARE

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IL CAPITALE DA SALVARE

  • –Roberto Napoletano

C’è un racconto d’Italia che appartiene al silenzio dei borghi, l’odore di legna bruciata, le campane e l’Ave Maria, l’unicum di una manualità fatta di donne e uomini in carne e ossa che sono il capitale insostituibile della nostra manifattura e formano un tutt’uno inscindibile con l’allegria delle feste medievali, cantine, locande, il gusto della buona cucina e il rosso del tramonto, i segni dei secoli, cultura laica e grande spiritualità. Il genio marchigiano, la bella solitudine degli umbri, il Reatino con Amatrice e la “città del ferro”, l’Alto Aterno abruzzese: chiese, monasteri, conventi, laboratori artigiani e “sarti” della calzatura, cachemire, ricamo e maglieria, vini doc e prodotti alimentari locali come la lenticchia di Castelluccio o la norcineria, porte e mura storiche, castelli, palazzi. Qui, in questo “massiccio centrale italico dove sembra che l’Appennino si dilati”, come scrive Franco Cardini sul nostro giornale, nei borghi di questi piccoli paesi arrampicati sulle alture e devastati dal cataclisma di un ciclo di terremoti senza fine, c’è l’ombelico sano e profondo del Paese.

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Il Sole 24 Ore ha voluto documentare, da Tolentino a Fabriano, solo per fare qualche esempio, che cosa è successo nelle “capitali della manifattura” di questa Italia di dentro che attraversa più regioni e custodisce le radici di un modo di fare impresa che è, prima ancora di un modello economico, qualcosa che esprime un’idea civile, sociale e culturale di fare comunità dove arte, industria e paesaggio stanno insieme naturalmente. Da qui, da questo punto di fondo, bisogna partire per capire quanto è importante la risorsa umana in questi territori e come sia proprio il territorio la forza di questa economia. Per questo la bella Basilica di San Benedetto a Norcia, il suo portale e il suo rosone, come le tante chiese che i terremoti hanno riempito di crepe, i borghi e le loro pietre, tutto deve tornare a rivivere lì, esattamente dove stava da secoli, con la forza e la bellezza della sua storia, ma per la stessa identica ragione guai a sfollare la risorsa umana di questi territori dai suoi borghi, dai suoi laboratori artigiani, dalle sue fabbriche.

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In questa Italia di dentro tutto si tiene e il capolavoro necessario è di investire subito, usando in modo mirato le risorse europee disponibili, garantendo per davvero l’accesso al credito, snellendo le procedure e utilizzando, al massimo, la leva fiscale. Proprio come si è fatto con il terremoto che colpì al cuore l’Emilia laboriosa, perché la priorità è che il tessuto abitativo e economico si ricostituiscano in fretta lì dove la forza cieca del sisma infinito ha portato distruzione. Guai ad assecondare disegni di “deportazione” sul mare della popolazione terremotata marchigiana perché è sbagliato e perché, tra l'altro, nuocerebbe in modo irrecuperabile al turismo sulla costa che è al centro del progetto di crescita delle Marche. Non si deve permettere, in tutte le regioni coinvolte, che la paura del terremoto allontani flussi turistici nei vastissimi territori non toccati dal sisma e si dimostri piuttosto, con i fatti, di credere nelle donne e negli uomini di questa Italia di dentro che sanno bene qual è il segreto delle loro terre e hanno dato sempre il meglio nei momenti difficili. Una singola micro impresa che riparte e ognuna nuova che nasce rappresentano una tessera del mosaico più importante da ricostruire che è quello che lega paesaggio e prodotto e appartiene al cuore profondo del Made in Italy. Bisogna trattenere la risorsa umana di tutte le età e tornare ad attrarre quella giovanile di qualità senza la quale non c’è futuro. Bisogna farlo perché è in gioco il capitale più prezioso e nessuno è in grado di sostituirlo fuori da quei borghi.