Quelli più avanti sono alla Disney. La loro sezione di ricerca e sviluppo ha realizzato un prototipo dotato di intelligenza artificiale che riconosce gli elementi di un video (organici e inorganici come mucche, auto o gatti) e gli associa il corretto suono (moo, vroom ecc). Alla Disney Research non sanno ancora esattamente cosa ne faranno ma con ogni probabilità entrerà a far parte di una nuova (sight) generazione di giocattoli “aumentati”. Intendiamo balocchi 2.0, tecnologicamente alla moda, capaci di intercettare tutti i più avanzati trend dell'It. C'è di tutto e di più: machine learning, programmazione a oggetti, robotica, app, animazioni digitali, smartphone. Tutto insieme e tutto mischiato. Sembra nascere così il giocattolo per i nativi digitali. Da una marmellata intelligente ma caotica.
C'è Jimu Robot di Ubtech Robotics, un colosso della robotica per bimbi, che ha messo insieme le logiche del Lego (anzi dei Jimu che sono i mattoncini in giapponese) con servomotori robotici e applicazioni per smartphone. Il risultato è la possibiltà di creare pinguini, ragni, dinosauri o qualsiasi altra cosa venga in mente e muoverli. C'è la Play-Doh Touch, nato da una partnership tra Hasbro e Apple. Come funziona? Si usa il Didò , pasta per giocare a base di farina di grano, si modellano animali o creature inventate, le si inquadra con lo smartphone e diventano personaggi digitali di un videogioco. In pratica, il software anima la creatura che ci siamo inventati. C'è il bruco di Fisher Price che insegna la programmazione. È composto da 8 elementi, ciascuno con una singola funzione di comando: destra, sinistra, rotazione, emetti un suono, ecc. La sua missione è insegnare ai bambini in età prescolare le logiche della programmazione, le sequenze e le funzioni base del codice, C'è la robotica educativa della Lego Education WeDo. E ci sono gli Skylander che quest'anno puntano sulla creatività e si sono inventati Skylanders Imaginator, un tool per inventare mostriciattoli digitali.
Dietro questi giocattoli che vogliono essere anche tool di apprendimento si è sviluppata una ampia letteratura. Dal metodo Tinkidoo che teorizza “smart toys” al Teal (Technology Enhanced Active Learning), una forma di apprendimento progettata nel 2003 dal Mit di Boston che vede unite lezione frontale, simulazioni e attività laboratoriali su computer. La teoria è che i bambini si adattano ai nuovi media e attraverso i tool sperimentano un apprendimento attivo.
Apparentemente hanno tutti ragione. O almeno così ha deciso il mercato. Lo “spirito dei tempi” sembra incarnarsi in questi balocchi che hanno il merito di mettere a terra tecnologie che i bambini in qualche modo hanno imparato a conoscere dai genitori e tipologie di gioco (pupazzetti, mattoncini, costruzioni) che appartengono all'infanzia.
Certamente serve aumentare la ricerca, studiare come i bambini si adattano ai nuovi giochi, in modo laico, scientifico, senza pregiudizi o pensieri automatici. Uno studio apripista è il progetto Global Kids Online (http://blogs.lse.ac.uk/gko/tools/guides/framework/) che intende scoprire e osservare come i bambini utilizzano Internet, ciò che stanno imparando, e le opportunità e i rischi che presenta. Più un bambino su tre in tutto il mondo ora utilizza l'internet - la maggior parte di loro al di fuori dell'Occidente. Il rapporto raccoglie interviste e sondaggi di bambini di età compresa tra nove e 17 anni. È un esercizio di ascolto. Che rivela come internet sia percepito come un diritto umano, una necessità, una parte inseparabile della loro vita. Potremmo dire il più inaspettato gioco educativo degli ultimi dieci anni. Suona un po' retorico, ma in fondo siamo sotto Natale.
© Riproduzione riservata