Colpito ma non affondato. Nonostante le inchieste che ne hanno appannato l’immagine e le defezioni nel proprio campo, François Fillon è ancora terzo nei sondaggi (seppure incalzato da Jean-Luc Mélenchon).
I suoi sostenitori, ma anche alcuni esperti in flussi elettorali, ritengono peraltro che la sua posizione sia sottostimata e che il distacco da Emmanuel Macron non sarebbe di 4/5 punti bensì di 2/3. Un gap che il candidato della destra – grazie anche all’appello dell’ultima ora di Nicolas Sarkozy – è convinto di riuscire a colmare nelle due settimane che separano i francesi dal primo turno delle presidenziali. Questa campagna già ricca di sorprese potrebbe cioè riservare un ultimo colpo di scena e proporre al ballottaggio il duello previsto prima del Penelopegate. Tra Marine Le Pen e appunto Fillon. Non è insomma ancora escluso che quest’ultimo possa essere il futuro ospite dell’Eliseo.
A 15 giorni dal voto, il leader dei Républicains ha accettato di rispondere ad alcune domande del Sole-24 Ore.
Prima di affrontare i temi economici, quelli che più ci interessano, una domanda sulle inchieste che la vedono indagato. Quel che più mi ha stupito non è il merito dei fatti che le vengono contestati (anche se certo, gli abiti da 6.500 euro regalati...) bensì il modo e il timing con cui ha reagito. Ci sono volute due settimane perché finalmente si rendesse conto che c’era un problema. Mi chiedo quindi se le si possa fare affidamento in qualità di presidente se le serve così tanto tempo per reagire in maniera corretta.
Fin dall’inizio di questa vicenda mi sono spiegato con i francesi. Ho risposto alle menzogne, punto per punto. Da oltre due mesi sono attaccato in continuazione. La presunzione di innocenza è costantemente ignorata. Mi si condanna senza prove sulla sola base di un articolo di stampa. Il segreto istruttorio è stato sistematicamente violato. Si è organizzato un vero e proprio feuilleton giudiziario e mediatico al fine di nuocermi e impedire ai francesi di poter votare per il solo candidato della destra e del centro alle presidenziali. Ma sono fiducioso. I francesi decideranno con il loto voto e la mia innocenza – come quella di mia moglie – sarà riconosciuta dalla Giustizia. La Francia ha sei milioni di persone in cerca di lavoro, nove milioni di cittadini al di sotto della soglia di povertà, 2.200 miliardi di debito pubblico: sono questi i veri temi della campagna elettorale. E vincerò queste elezioni perché sono il solo a proporre un’alternanza chiara. Il programma di Marine Le Pen ci porterebbe alla rovina. E quello di Emmanuel Macron non è che la prosecuzione dei fallimenti di François Hollande
Passiamo all’economia. Quali sono le sue proposte sulla fiscalità delle famiglie?
I francesi sono stati vittime di un vero massacro fiscale durante il quinquennato di Hollande e Macron. Ridarò loro, fin dall’inizio del mandato, dieci miliardi in maggior potere d’acquisto. Tutte le retribuzioni godranno di un alleggerimento dei contributi sociali che si tradurrà in un aumento medio netto di 350 euro all’anno. Ridurrò la pressione fiscale sulle famiglie che i socialisti hanno fortemente incrementato. Così come aumenteranno le pensioni più basse
Nel suo programma prevede cento miliardi di calo della spesa pubblica. È un obiettivo realistico?
Per risanare l’economia francese dobbiamo innanzitutto controllare la nostra spesa pubblica. Si tratta di una condizione imprescindibile della nostra sovranità, a fronte di un debito che sta raggiungendo il 100% del Pil. Prenderò le misure necessarie: la nostra spesa pubblica passerà dall’attuale 57% del Pil al 50% nel 2022. Si tratta di uno sforzo dell’8% rispetto al totale della spesa, 20 miliardi all’anno. È impegnativo ma non impossibile e neppure brutale. La Germania, grazie a riforme strutturali ambiziose, ha ritrovato l’equilibrio di bilancio e persino un surplus. Sono il solo a proporre queste riforme indispensabili
Si parla spesso di una fiscalità sul capitale confiscatoria. Cosa propone?
Il mio obiettivo è la piena occupazione. Per raggiungerlo bisogna che le imprese siano competitive e possano investire. Oggi la fiscalità sul capitale glielo impedisce. La patrimoniale fa fuggire gli investitori francesi. In meno di dieci anni, la Francia ha perso la metà dei suoi investitori individuali. Ricostruirò il capitalismo francese perché è la garanzia che le nostre aziende non debbano tendere la mano ai fondi pensione esteri per finanziarsi. Questo passerà attraverso l’abolizione della patrimoniale, imposta di un altro secolo abbandonata da tutte le economie moderne. E dal varo di una tassa forfettaria unica del 30% su tutti i redditi da capitale
E per quanto riguarda la fiscalità delle imprese?
Fin dall’estate agirò per creare un vero shock di competitività, abbassando di 40 miliardi tasse e oneri a carico delle aziende. Ridurrò inoltre progressivamente la pressione fiscale sulle società per arrivare al 25%, nella media europea
Anche lei parla spesso di “patriottismo economico”. Cosa significa, in concreto?
Nella competizione economica internazionale non bisogna essere naif. Di fronte ai grandi blocchi economici come gli Stati Uniti e la Cina, che difendono i loro interessi con le unghie e con i denti, la Francia e l’Europa devono fare lo stesso. Non è normale che in alcuni settori il mercato europeo sia aperto a tutti, quando quello statunitense e i grandi asiatici bloccano le nostre imprese. L’Europa deve difendere il principio di reciprocità, in particolare per quanto riguarda l’accesso alle commesse pubbliche e il rispetto delle norme ambientali e sociali, affinché le nostre aziende non subiscano più una concorrenza sleale. Non si tratta di chiudere le frontiere, ma di rafforzare le regole europee per difendere i nostri interessi
La sua riforma del lavoro prevede un rafforzamento della negoziazione a livello dell’impresa. Su quali temi e per fare cosa?
Il mio progetto è stato costruito all’insegna della libertà. Ridarò ossigeno agli attori dell’economia per lasciare che facciano gli imprenditori, che possano innovare. E alla fine creare lavoro e occupazione. Oggi, in Francia, tutto è regolamentato da una burocrazia onnipresente. I francesi non ne possono più. Una legge sul lavoro sarà quindi sottoposta al Parlamento già in estate, per abolire le 35 ore e lasciare che la durata dell’orario venga decisa al livello di impresa o di categoria. Il codice del lavoro, che oggi è di 3.400 pagine, sarà rivisto in modo che si concentri sulle norme sociali fondamentali. In caso di paralisi del dialogo sociale, l’ultima parola spetterà ai lavoratori con un referendum aziendale
Abrogazione della durata legale dell’orario settimanale (le famose 35 ore), aumento della durata del lavoro dei dipendenti pubblici a 39 ore, taglio di 500mila funzionari, pensione a 65 anni. Non pensa che ci sia il rischio di una protesta che paralizzi il Paese?
Propongo ai francesi di ritrovare la prosperità realizzando riforme che hanno funzionato in altri Paesi. Sono convinto che sono in maggioranza pronti a seguirmi su questo cammino necessario per mettere fine alle loro difficoltà quotidiane. Come ministro e premier ho fatto riforme difficili e non mi sono mai piegato alla contestazione
Per concludere, come immagina la Francia dopo cinque anni di presidenza Fillon?
I francesi vogliono ritrovare la fierezza di una nazione prospera, pacificata e influente. In cinque anni propongo di far saltare i chiavistelli che ostacolano l’audacia e di ridare alla Francia un obiettivo e una speranza. Questo, in fondo, è il senso del mio progetto, basato su una diagnosi chiara e lucida. Propongo riforme ambiziose ma nel contempo realiste e giuste. Al servizio di tre obiettivi: liberare, proteggere, riconciliare. Voglio una Francia della piena occupazione, una Francia forte che sia tornata a essere leader in Europa e la cui voce venga ascoltata nel mondo.
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