
Lo scriveva il mese scorso il giudice che voleva chiudere Uber, ora lo ribadisce anche il giudice che salva Uber dal ricorso dei tassisti romani: una riforma del trasporto pubblico non di linea è urgente. Non solo perché le norme attuali sono troppo pasticciate (nate nel 1992 e cambiate in parte alla fine dello scorso decennio per le pressioni della piazza e quelle del diritto UE) e lo diventano sempre più di proroga in proroga. Ma anche perché non tengono conto del fatto che nel frattempo sono arrivate le app.
Osservazione ormai scontata? Fino a un certo punto. Perché non c'è solo la app di Uber: ci sono anche quelle dei taxi. E, tra queste ultime, ce n'è una che ormai, come Uber, è anch'essa espressione di una multinazionale che opera nell'orbita Daimler: MyTaxi. Dunque, non sono solo app delle tradizionali centrali radio che raggruppano i tassisti. Non a caso, tastando il polso dei guidatori, c'è chi contesta anche MyTaxi.
E allora non resta che rifare tutto. Il Governo ci sta provando da febbraio e ha partorito una bozza di riforma. Che però non ha la copertura legislativa che verrebbe se fosse approvato il Ddl concorrenza, fermo da oltre due anni, dato per sbloccato proprio a febbraio e ora nuovamente impantanato.
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