In tutto il mondo industrializzato l’istruzione aumenta e migliora le prospettive occupazionali dei ragazzi. È una tendenza che appare irreversibile a partire dal 2000 quella evienziata dal rapporto “Education at a glance” dell’Ocse. Oggi la maggioranza - ben il 43% - dei “giovani adulti” ha una laurea , ma anche tra gli adulti (25-64 anni) la quota è cresciuta al 37%.
L’istruzione “paga”
D’altra parte l’istruzione terziaria mantiene le promesse in termini di ritorno degli investimenti: i laureati hanno una maggior probabilità - dieci punti percentuali in più - di trovare lavoro e guadagnano in media il 56% in più rispetto agli adulti che hanno completato solo il percorso secondario superiore. E hanno una maggior capacità di rispondere ai periodi di crisi: il tasso di occupazione per i “giovani adulti” (per l’Ocse la fascia d’età tra 25 e 34 anni) con laurea è già tornato ai livelli pre-2008, mentre la disoccupazione per quelli con una formazione inferiore è ancora oggi su livelli superiori.
Proprio per questo i ragazzi hanno compreso che un’istruzione più qualificata migliora le prospettive occupazionali rispetto a chi entra direttamente nel mercato del lavoro alla fine dell’istruzione obbligatoria: tra il 2000 e il 2016 la quota dei ragazzi tra 20 e 24 anni che studia ancora è aumenata del 10% nei paesi Ocse mentre gli occupati, nella stessa fascia, sono diminuiti del 9%.
Questa tendenza mette ancora più in risalto il caso negativo dell’Italia, dove gli adulti in possesso di laurea sono fermi al 18% - peggio di noi fa solo il Messico - contro il 37% di media Ocse. Anche da noi i giovani (25-34 anni) fanno un po’ meglio con il 26% di laureati, ma ancora ben lontani dalla media Ocse (43%). Compensa però la formazione professionale: in linea con la tendenza globale tra i diplomati a livello secondario superiore la maggioranza ha un titolo con indirizzo professionale (53% contro il 39% con indirizzo generale). E l’sitruzione professionale garantisce un tasso d’occupazione superiore del 68% rispetto all’indirizzo generale.
Insegnanti sempre sottopagati (e vecchi)
In un mondo sempre più affamato di istruzione gli insegnanti dovrebbero essere la colonna portante del sistema educativo. Invece la professione diventa sempre meno attraente per i giovani e la popolazione dei docenti si fa sempre più vecchia, in particolare nei livelli più elevati di istruzione. In media nei paesi Ocse un terzo degli insegnanti in primarie e secondarie ha più di 50 anni. In Italia la quota di docenti ultracinquantenni è ben superiore: 60% nella primaria e 71% nella secondaria superiore. Il che, aveva già segnalato l’Ocse, può diventare anche una risorsa, visto che nel prossimo decennio quasi due terzi degli insegnanti dovranno essere sostituiti.
L’attrattività è in buona parte determinata dalle prospettive di remunerazione, che per gli insegnati rimangono decisamente più basse rispetto ai coetanei con la stessa formazione. In media lo stipendio di un docente si ferma tra il 78 e il 94% di quello di occupati a tmepo pieno con istruzione terziaria. Per di più la crisi del 2008 ha peggiorato la situazione con il congelamento o addirittura la riduzione degli stipendi in diversi paesi, con il risultato che tra il 2005 e il 2015 gli stipendi dei docenti hanno registrato una flessione in termini reali in un terzo dei paesi presi in considerazione.
Anche in questo campo la situazione in Italia è più deteriorata. Per fare qualche esempio un insegnante di scuola primaria ha un salario iniziale di 27.900 dollari che può salire a 33.700 dopo 15 anni di esperienza (parliamo sempre di livelli medi) contro un’oscillazione tra 30.800 e 42.800 di media Ocse. Non molto migliore la situazione per la scuola secondaria superiore: 30.100-37.800 la fascia in Italia contro 33.800-46.600 nelll’Ocse.
Cresce la spesa in istruzione
La rilevanza dell’istruzione nella nuova era della conoscenza ha portato a un generalizzato aumento della spesa in educazione superiore all’incremento della popolazione studentesca: 4% rispetto a una lieve flessione degli studenti. Ma l’importanza dell’istruzione terziaria ha indotto i governi e le istituzioni private a puntare molto sull’università, che ha registrato un aumento della spesa più che doppio rispetto a quello della popolazione studentesca.
L’incremento della spesa in termini monetari non ha però tenuto il passo con la crescita del Pil, portando a una flessione di due punti percentuali della spesa in relazione al Pil.
La quota di investimenti pubblici premia ovivamente l’istruzione obbligatoria, coprendo in media il 91% delle spese, ma scende drasticamente, al 70%, all’università, lasciando il resto del conto da pagre alle famiglie.
In Italia la spesa per istruzione si è attestata al 4% del Pil, un rapporto molto inferiore alla media Ocse del 5,2% e in calo del 7% rispetto al 2010: solo cinque altri paesi si collocano su livelli inferiori. In termini di spesa per studente per l’intero ciclo scolastico l’Italia è attestata a 9.300 dollari, meno dei 10.800 di media Ocse, con una forbice che va allargandosi nella fascia più alta dell’istruzione: nella primaria il divario è limitato (8.400 dollari contro 8.900) mentre nella terziaria cresce con una spesa, comprese le attività di ricerca e sviluppo, pari a 11.500 dollari, 3.900 in meno rispetto alla media Ocse.
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