Negli Stati Uniti cresce dal 10,5% al 15,1% la percentuale corrisposta agli autori di musica per lo streaming online dei loro brani. Una piccola, grande rivoluzione che avrà effetto entro i prossimi cinque anni, secondo quanto ha stabilito sabato scorso il Copyright Royalty Board della Libreria del Congresso, autorità americana del diritto d’autore composta da tre giudici che esprimono pareri ed emettono sentenze che fanno giurisprudenza sul tema.
Dovranno insomma regolarsi di conseguenza piattaforme online come Spotify, intenta a quotarsi per la cifra record di 20 miliardi di dollari, ma anche Apple Music, Amazon Music e YouTube, alle prese con il lancio del servizio premium Remix. Il tutto a partire da una controversia che opponeva l’associazione di categoria National Music Publisher Association (Nmpa) alle tech society, contrarie all’aumento in questione proposto da autori ed editori. Il casus belli che faceva da sfondo alla vertenza era il value gap, ossia quella non troppo equa distribuzione dei ricavi da musica tra piattaforme online e aventi diritto. Il tutto a fronte di un mercato mondiale della musica che, tra il 2015 e il 2016, ha visto crescere di circa il 60% i ricavi da streaming. «È un buon giorno per gli autori di canzoni», ha commentato David Israelite, presidente di Nmpa. «Questa è la prima volta che il tribunale ha messo discusso il contributo dei cantautori a queste piattaforme digitali».
Gli autori puntavano anche a ottenere ricavi per singolo stream, superando in questo modo l’attuale sistema di conteggio. Richiesta bocciata, quest’ultima, ma l’aumento della percentuale, secondo Israelite, ha fatto da compensazione. Secondo Martin Bandier, ceo di Sony Atv, maggiore società di publishing al mondo, interpellata dal Financial Times, la decisione «contribuirà notevolmente a compensare equamente i nostri cantautori per il contributo essenziale che apportano alla storia di successo dello streaming». Se non altro porta costi in più per Spotify & co., con una differenza non di poco conto a discapito della creatura di Daniel Ek: per la startup svedese lo streaming musicale è il core business, cosa che non si può certo dire per Apple, Alphabet e Amazon. E il mercato discografico americano resta il primo al mondo. Passare per la cassa, please.
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