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È scattata la guerra geopolitica del 5G. L’Europa prova a restare al passo di Cina e Corea

È scattata la guerra geopolitica del 5G. Gli Stati stanno correndo per assicurare le condizioni migliori allo sviluppo delle nuove reti, consapevoli che da queste passa una fetta della loro competitività internazionale. E la principale leva di manovra degli Stati, in questa fase, riguarda la messa in disponibilità delle frequenze adatte al 5G. In questo senso vanno infatti molte notizie recenti. La scorsa settimana, il trilogo dell'Unione Europea (Consiglio, Parlamento e Commissione) ha raggiunto un accordo per fissare ad almeno 20 anni la durata delle licenze d'uso delle frequenze radio.

In parallelo, esponenti del Congresso USA hanno anticipato che appoggeranno una proposta di legge (promossa da FCC, Federal Communication Commission), per accelerare due aste di frequenze 5G entro il 2018.
Questa settimana, la nostra Agcom (Autorità garante delle comunicazioni) – con tempestività – ha pubblicato la prima bozza delle regole per l'asta 2018 su frequenze 5G.

Accelerazione e chiarezza sulle regole delle aste, quindi, per favorire il debutto della nuova tecnologia nei tempi e nei modi migliori. La sfida è geopolitica perché si tratta di restare al passo con Cina e Corea del Sud, che sul 5G sono avanti. La nuova generazione potrebbe segnare il loro sorpasso – per livelli di sviluppo mobile e relativo mercato – sull'Occidente.

In particolare, la sfida è questa qui, per gli Stati. Assicurare condizioni che soddisfino tre valori: rendere il 5G davvero innovativo, favorire gli investimenti degli operatori e (al tempo stesso) un livello di concorrenza adeguato.
Sono i tre principi di fondo che si ritrovano anche nella bozza delle regole Agcom (ora in consultazione pubblica per un mese, prima di quelle definitive). L'Autorità infatti ha individuato lotti di frequenze (700 MHz, 3.4-3.8 MHz e 26 GHz) contemperando le diverse finalità di favorire l'avvio di servizi ad alta velocità e qualità (oltre il Gigabit), una copertura territoriale diffusa e la presenza di nuovi entranti nel mercato (a cui riserva un lotto ad hoc; sono nuovi entranti tutti eccetto Wind 3, Vodafone e Tim, quindi si pensa in particolare a Fastweb e Iliad Italia).

Ma come mettere assieme questi tre elementi? È difficile perché se c'è poca concorrenza si minaccia anche l'innovazione e la copertura del digital divide (storicamente obiettivo di operatori minori); di contro se ce n'è troppa, sono messi a rischio gli investimenti, quindi la copertura e l'innovazione stessa (per raggiungere alte velocità, ci deve essere un certo livello di concentrazione di frequenze su singoli operatori).

«Se mettiamo assieme le necessità di mercato e tecnologiche per il decollo del 5G, arriviamo alla conclusione che sarà necessaria una collaborazione tra gli operatori», spiega Maurizio Dècina, docente emerito del politecnico di Milano, decano delle telecomunicazioni in Italia (ora è presidente di Infratel). «Agcom ha favorito questa situazione prevedendo un innovativo meccanismo di sharing sulle frequenze più alte».

Gli operatori condivideranno le frequenze, invece di usarle in modo esclusivo, per ottimizzare investimenti e l'uso dello spettro disponibile.
«Il 5G sarà innovativo solo a fronte di grandi investimenti, infatti», prosegue Dècina. «Nei costi delle frequenze, nella costruzione di tanti siti per micro celle, ognuno collegato a fibra ottica; nel software per fare network slicing e assegnare fette di spettro ottimizzate a specifici servizi innovativi, internet delle cose, industry 4.0, automobili…».
«Impensabili quattro reti 5G in concorrenza, a fronte di questi investimenti. Sarà necessario un certo livello di condivisione e quindi collaborazione», ribadisce Dècina.

Altrimenti, si profila il fantasma del flop. Il passaggio a uno standard 5G non è garanzia di innovazione, rispetto al 4G, come sostenuto da alcuni esperti in questo periodo, tra cui Roberto Saracco di EIT Digital.
È innovativo grazie a quella nuova architettura di rete – micro celle diffuse, network slicing – che però richiede forti investimenti.
«Con il 5G le prestazioni miglioreranno, ma questo sarà il cambiamento minore», conferma Francesco Sacco, docente di strategia aziendale sia dell'Università dell'Insubria sia della SDA Bocconi. «La vera differenza sarà nella struttura della rete che si trasformerà per permettere ai miliardi di device che saranno connessi di essere serviti e garantirne allo stesso tempo il servizio. Con il network slicing non si assegnerà più una “fetta” fisica della rete a un device, ma una fetta virtuale della rete più adatta al servizio richiesto dal device. È un cambiamento di prospettiva radicale che ha bisogno di tempi lunghi per maturare», aggiunge Sacco.

Collaborazione, quindi, ma non solo tra operatori. La forte innovazione del 5G – il network slicing – richiede anche una collaborazione con fornitori di servizi: energia, infomobilità, domotica, smart city, intrattenimento audio-video…
«Partire per tempo è importantissimo per gli operatori perché sarà un lungo viaggio. Non essendo riusciti a monetizzare appieno le precedenti generazioni, se non riusciranno neanche in questo passaggio non avranno molte altre occasioni in futuro per incrementare i propri ricavi», aggiunge Sacco.

«L'Italia è partita piuttosto bene nella corsa per il 5G. Sarebbe un bene per il Paese se questo vantaggio lo si mantenesse perché le infrastrutture sono la parte più tangibile della competitività di una nazione. E l'Italia ne ha bisogno più del pane», continua Sacco.
«Se il 5G sarà un flop, lo sarà perché i soggetti non sono riusciti a collaborare. E purtroppo gli operatori telefonici non sono bravi in questo», dice Dècina.
Tuttavia, dovranno sforzarsi e riuscirci, stavolta. Ne va non solo del 5G ma anche della competitività Paese ed europea. «Perché il 5G è inevitabile. Se non faremo bene i compiti, la Cina ci supererà – ci colonizzerà tecnologicamente – grazie ai forti investimenti fatti e alla spinta di Huawei», dice Dècina.

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