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Dossier Le (non) risposte di Zuckerberg che fanno storcere il naso

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Dossier | N. (none) articoliFacebook e il datagate

Le (non) risposte di Zuckerberg che fanno storcere il naso

(Ap)
(Ap)

Si è preso cinque giorni di tempo, Mark Zuckerberg, prima di fornire la sua versione dei fatti sullo scandalo Cambridge Analytica. Cinque giorni durante i quali il malumore attorno a Facebook è cresciuto costantemente, e lo stesso ceo è finito nel mirino di regolatori e politici che lo hanno chiamato in causa con l'indice puntato contro. Poi Zuckerberg ha detto la sua, prima con un post su Facebook e poi con un’intervista alla Cnn. Il fondatore di Facebook ha fatto autocritica, non si è nascosto, ha detto di ritenersi il responsabile di quanto accaduto e si è lasciato andare in un empatico «non meritiamo la vostra fiducia». Un discorso che segue i canoni più stretti della nuova industria tecnologica, e che in parte ricorda le parole di Jeff Bezos dopo l’inchiesta del New York Times sulle condizioni di lavoro in Amazon, quando disse «Non vorrei lavorare in un’azienda simile».

Azionisti freddi, il titolo scende ancora
Eppure l’excusatio di Zuckerberg non ha convinto tutti. E a giudicare dall'andamento del titolo in borsa, alla riapertura dei mercati, gli azionisti sono rimasti abbastanza delusi dalle parole del ceo. Diversi analisti hanno storto il naso, facendo notare – ad esempio – che nelle parole del giovane boss di Facebook non è mai comparsa la parola «sorry». E per i più critici, non aver mai detto «scusa» è un segnale inequivocabile di quanto la risposta non sia scesa nel cuore del problema.
Le parole di Zuckerberg, inoltre, non sembrano aver allentato la morsa politica che arriva da Washington quanto da Bruxelles. Nessuno dei soggetti che ha chiesto a Zuckerberg di testimoniare per quanto accaduto, del resto, ha fatto marcia indietro dopo il suo intervento. È probabile, allora, che a certi livelli le motivazioni del ceo siano sembrate troppo deboli. Zuckerberg, in effetti, non ha spiegato in modo dettagliato come un problema così grosso, emerso nel 2015, sia potuto esplodere circa tre anni più tardi. Ha ammesso di aver sbagliato a fidarsi di Cambridge Analytica, alla quale aveva chiesto di cancellare i primi dati violati nel 2015 ma senza informare gli utenti. Errori grossolani per un ceo del suo calibro. Errori che, come ha detto lui stesso, hanno fatto traballare il rapporto di fiducia fra Facebook e i suoi utenti. «Non ha fatto nulla per dissipare tutte le preoccupazioni - ha detto Brian Wieser, analista di Pivotal Research, al Financial Times – e penso che sarò chiamato davanti al Congresso a renderne conto».

Le quattro domande del Ft a cui non ha risposto
C’è da aggiungere che dopo l’esplosione del caso Cambdridge Analytica, il Financial Times aveva posto quattro interrogativi molto dettagliati a Zuckerberg. E in merito a queste, dalle parole del ceo non sembrano essere arrivate risposte concrete. Il primo quesito era il seguente: perché Facebook ha agito poco e in ritardo quando è stata scoperta la perdita di dati? Qui Zuckerberg ha fatto una cronistoria di quanto successo, senza entrare nei dettagli. Ha ammesso di essersi fidato (sbagliando) di Cambridge Analytica e di non aver colpevolmente avvisato gli utenti. Ma il perché di queste decisioni non è stato chiarito. Il secondo quesito era: chi è responsabile della perdita dei dati? Anche in questo caso, Zuckerberg non ha risposto in modo preciso. Si è preso la responsabilità per quanto successo, ma è parsa più una frase forte per far presa sulla critica che una dettagliata analisi dei fatti. Il terzo quesito era: perché Facebook accetta pubblicità politiche? A questa domanda Zuckerberg non ha risposto. Anzi, ha aggiunto che in futuro «Ci useranno ancora per influenzare le elezioni». Infine, il quarto quesito, che era: chiunque abbia a cuore la società civile dovrebbe semplicemente smettere di usare Facebook? Zuckerberg ha detto, rivolgendosi agli utenti, «non meritiamo la vostra fiducia», ma non ha minimamente sfiorato il discorso dei dati che la piattaforma raccoglie in cambio di un utilizzo gratuito del servizio. Limiterà la raccolta di App di terze parti, certo. Ma può bastare?

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