Tokyo - È il futuro del calcolo ispirato dalle tecnologie del quantum computing in pochi centimetri quadrati di spazio. Il presidente di Fujitsu, Tatsuya Tanaka, lo alza con orgoglio durante il suo keynote nel Tokyo International Forum, l'avveniristico centro congressi creato venti anni fa dall'archistar uruguaiana Rafael Viñoly nel cuore della capitale giapponese, simbolo in vetro e acciaio di un futuro forse passato per un Paese sotto la costante pressione economica e industriale della vicina superpotenza cinese.
Il chip di Tanaka si chiama Dau, Digital Annealing Unit, ed è un processore fatto appositamente per un tipo di calcolo ben preciso; Fujitsu lo offre come prima piattaforma in grado di sfruttare la potenza del calcolo quantistico senza aver bisogno di aspettare l'arrivo dei computer del futuro.
Il Dau non è solo uno strumento con il quale Fujitsu spera di poter fornire risorse per risolvere problemi oggi impossibili. Invece, il Dau è anche la dimostrazione che l'azienda guidata da Tanaka crede sino in fondo nella sua strategia di co-creazione dell'innovazione e del valore: il gioiello della corona dell'annuale forum di Fujitsu infatti non è stato pensato solo dall'azienda giapponese. È invece frutto di una collaborazione internazionale e l'azienda ci tiene a sottolinearlo, perché è il nocciolo dei suo approccio alla trasformazione digitale: la co-creazione di valore, ingrediente fondamentale per l'industria digitale del futuro.
«Siamo convinti - dice Tanaka – che questo momento sia speciale: siamo nel pieno dell'innovazione digitale, intelligenza artificiale e Internet delle cose (IoT) stanno cambiando il modo con cui viviamo e facciamo il business. La digitalizzazione non deve lasciare indietro nessuno ma questo non basta. La trasformazione digitale può essere interpretata in tanti modi ma secondo noi c'è una cosa che deve essere assolutamente chiara. Il modo per farla crescere è basato sulla co-creazione del valore, cioè sulla collaborazione».
Tanaka ne è convinto al punto che la creazione dei nuovi prodotti di punta, che servono a dare spessore ai servizi e all'offerta cloud dell'azienda , nasce esplicitamente da un gioco di squadra con aziende e partner. In particolare, il Dau arriva da un rapporto speciale la ricerca universitaria e con startup ad alto contenuto tecnologico non giapponesi. Il rapporto con l'università di Toronto, in Canada, con la quale Fujitsu ha un rapporto ventennale che ha portato non solo a sviluppare il Dau (e altri tipi di chip di memoria negli anni passati) ha permesso a Fujitsu di aprire un centro di ricerca e accedere alle risorse di un bacino composto da duemila ricercatori universitari canadesi.
Il Dau viene proposto come risorsa che permetterà alle aziende che utilizzano i servizi di Fujitsu di avere benefici spendibili anche questi nell'ambito della co-creazione di valore per la trasformazione digitale. «Ci sono dei calcoli – spiega il professor Ali Sheikholeslani – che sono impossibili da svolgere con un computer tradizionali, anche super. Ottimizzare il modello delle molecole di farmaci sintetici, capire il funzionamento di specifiche aree del cervello, erogare con precisione assoluta i trattamenti radiologici per i tumori, pianificare le risorse delle smart city, calcolare i modi per evitare le crisi nei mercati finanziari. Occorrono tecniche informatiche innovative ispirate al quantum computing e un processore pensato e realizzato su misura per poterlo fare».
Assieme al processore, tecnicamente un tipo di Asic (Application specific integrated circuit ) è necessario anche un software di gestione che permetta poi di sviluppare le singole applicazioni verticali. Ci ha pensato 1Qbit, azienda di Vancouver, che ha creato il middleware, lo strato software che fa funzionare il Dau: «Abbiamo creato un software – spiega il Ceo di 1QBit, Andrew Fursman – unico nel suo genere e capace di gestire l'Annealator, uno strumento hardware capace di cambiare letteralmente il nostro futuro, consentendo di rendere possibile l'impossibile in informatica. Un assaggio di quello che sarà il quantum computing».
L'idea della co-creazione come passaggio chiave nella trasformazione digitale ispira anche una nuova area di attività di Fujitsu: nonostante l'innata avversione dei giapponesi per i servizi di consulenza, Tanaka ha capito che è necessario aiutare i partner e i clienti a giocare in squadra. Ed ecco che Fujitsu ha creato un sofisticato programma di facilitazione per la trasformazione digitale che utilizza tecnologia avanzata ma anche strumenti tradizionali come carta e penna, e soprattutto del personale qualificato per facilitare le aziende e aiutarle a trovare soluzioni basate sulla modalità del design thinking.
Nel corso del 2017 Fujitsu ha fatto più di 650 seminari con 300 progetti e adesso, dopo Tokyo e Osaka, intende aprire centri di facilitazione anche a Monaco di Baviera, Stoccolma e New York. Lo fa sulla spinta di alcuni casi di successo che in Giappone sono ritenuti molto significativi, come ad esempio quello di Toyota Motors, che ha creato così la sua ”visione del futuro” per i servizi after-market superando il suo tradizionale modello Kaizen con il nuovo Kaikaku (“innovazione radicale”).
Infine, le nuove tecnologie con le quali Fujitsu conta di aprire nuovi mercati. Assieme alle startup presenti al forum, che cercano di innovare in vari settori senza avere ancora identificato un modello di business, in prima fila c'è uno dei best seller di Fujitsu, cioè il sistema di riconoscimento delle vene nel palmo della mano; una forma di biometria chiamata PalmSecure che Fujitsu utilizza da alcuni anni e che ritiene essere superiore a qualsiasi altro tipo di biometria: 70 milioni di utenti nel mondo (20 in Europa, 14 in Nordamerica, 16 in Sudamerica e altri 20 in Asia la utilizzano per entrare nel proprio computer ma anche per autenticarsi in servizi finanziari, del settore pubblico, o semplicemente per aprire la porta di casa senza usare le chiavi.
Una tecnologia che adesso potrebbe diventare anche il veicolo di pagamenti elettronici innovativi. Spiega An Byung-il, responsabile dei pagamenti digitali della coreana Lotte Card, la più grande società di gestione delle carte di credito della Corea del Sud: «Ci siamo chiesti quale sarebbe stato il prossimo e più intelligente sistema di pagamento senza contante, senza carte, senza neanche uno smartphone. Abbiamo trovato la risposta con PalmSecure di Fujitsu. Per noi il palmo della mano vince sulle impronte digitali e il riconoscimento del viso, oltre ad essere igienico perché non necessario toccare il dispositivo. In Corea lo stiamo mettendo nei bancomat, nelle casse dei supermercato».
Soprattutto, spiega Byung-il, lo hanno integrato nel loro circuito di pagamento in soli otto giorni, mentre per le tecnologie che usano ad esempio sistemi di pagamento tramite smartphone ci possono volere anche dei mesi. Come sanno molto bene le banche di tutto il mondo che, anche per i costi e i tempi lunghi, si avvicinano con timidezza alle piattaforme di pagamento su smartphone.
© Riproduzione riservata