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Dossier Apple e la privacy, una storia che viene da lontano

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Dossier | N. 12 articoliOpen Innovation Days: ecco i nuovi protagonisti dell'innovazione

Apple e la privacy, una storia che viene da lontano

(Reuters)
(Reuters)

Seguire la guida dell'Unione Europa per la privacy, tracciata nella Gdpr. Opporsi al “complesso industriale per i dati”, contro la trasformazione delle informazioni personali in armi rivolte contro i cittadini e le società. Creare una legge federale americana per la privacy. Il Tim Cook a tutto campo, con un intenso e accalorato discorso pronunciato al Parlamento europeo di Bruxelles nel corso dei lavori per la quarantesima “International Conference of Data Protection and Privacy Commissioners” ha sorpreso alcuni osservatori ma non chi conosce da vicino il numero uno di Apple. Perché il leader “tranquillo”, apparentemente poco carismatico, dichiaratamente e orgogliosamente gay che è stato fortemente voluto da Steve Jobs alla guida di Apple negli ultimi mesi della sua vita, è tutt'altro che una sorpresa.

«Alla Apple non smettiamo di cercare di produrre nuove tecnologie sperando di migliorare il mondo – ha detto Cook–. Ma sappiamo che le tecnologie non possono migliorare il mondo se non cerchiamo di rispondere alla domanda: “In che tipo di mondo vogliamo vivere?”».

La domanda retorica che Cook si pone e pone ai suoi ascoltatori di Bruxelles (ma indirettamente a noi, visto che l'uomo è perfettamente consapevole di quanto i media tradizionali e digitali amplifichino i suoi messaggi, sopratutto quelli più politici) è in realtà la chiave per leggere il Cook-pensiero, evoluzione e diversificazione non solo dalla visione del futuro minimalista e iper-lucida di Steve Jobs, ma anche dal pensare comune tra i big della Silicon Valley, abitata dai “vecchi” digerati della generazione di Bill Gates e Larry Ellison, ma anche dalla Generazione X di Larry Page e Sergei Brin, e dai giovani Generazione Z come Mark Zuckerberg. Ma andiamo con ordine.

Tim Cook, il numero uno di Apple, è intervenuto in maniera particolarmente dura a Bruxelles nel corso della quarantesima conferenza dei Commissari per la privacy e la protezione dei dati (ICDPPC). Il Ceo della casa di Cupertino (proprio nel giorno in cui Apple era stata stata multata dall'antitrust italiano per obsolescenza programmata) ha affermato infatti che “le nostre informazioni profondamente personali” oggi vengono “trasformate con efficienza militare in vere e proprie armi rivolte contro di noi”. Aggiungendo: «Non dovremmo edulcorare le conseguenze di questo fatto: questa è sorveglianza pura e semplice».

Quello che spicca però non è tanto l'uscita di Cook quanto la coerenza di comportamenti e posizione del numero uno di Apple, che si è da anni opposto all'utilizzo delle informazioni degli utenti dei suoi prodotti. La politica aziendale di Apple non ha fatto sconti a nessuno per invocare il rispetto e la protezione dei dati personali degli utenti. L'azienda ad esempio in passato si è opposta fermamente alle richieste dell'FBI per accedere all'iPhone di uno degli sparatori di San Bernardino, nel 2015. Inoltre, Apple ha insistito molto sulla completezza degli strumenti tecnologici di rispetto della privacy realizzati per adempiere agli obblighi di privacy e trattamento dei dati previsti dalla Gdpr e recentemente estesi agli utenti nel resto del mondo.

Per Cook è il “complesso industriale per i dati”, come lo ha definito, che sposta miliardi di dollari a seconda di “like e non like”, “desideri e speranze”, “sogni e intuizioni” registrate dalle persone: cioè il tipo di dati tracciati dalle aziende che si occupano di tecnologia e dagli inserzionisti. Secondo Cook «Tutto questo dovrebbe farci sentire molto a disagio, dovrebbe letteralmente destabilizzarci». Soprattutto perché, secondo Cook, questi dati vengono utilizzati solo ed esclusivamente per rendere sempre più ricche le aziende che li utilizzano.

La polemica di Cook è soprattutto con Facebook (con Zuckerberg si sono scambiati più volte in passato commenti e osservazioni stizzite sulle rispettive aziende) e in misura minore con Amazon e Microsoft. Cook aveva dichiarato che i suoi nipoti non hanno accesso ai social media, per esempio.

Cook lega al Jobs-pensiero la politica di super-rispetto della privacy di Apple, e la giustifica per l'aggravarsi dei tempi e l'appesantirsi dello spazio per l'intrusione che le aziende hi-tech, gli inserzionisti e gli Stati possono avere nella vita delle persone. Un pensiero fatto, secondo la retorica della storia aziendale di Cupertino, dal “gruppo di pirati” che negli anni Settanta e Ottanta “ha reinventato il personal computer” e l'informatica personale più in generale. Rispetto della privacy ma anche storytelling, perché in realtà la vera e grande accelerazione sul rispetto della privacy (così come, sul fronte finanziario, l'enorme crescita di Apple) sono da ascrivere direttamente all'operato di Tim Cook.

Questo manager di 57 anni, figlio orgoglioso del Sud degli Stati Uniti, ingegnere che ha passato dodici anni in Ibm sviluppando i suoi talenti come organizzatore e responsabile delle operazioni, ha trovato in Apple la scommessa giocata “seguendo la pancia”, come ha spiegato in alcuni dei suoi rari interventi pubblici nei quali parli della sua vita. Una scommessa dovuta in parte al carisma di Steve Jobs che lo volle al suo fianco al rientro in Apple. E ne lanciò la carriera di manager e organizzatore infaticabile, vero motore della ripartenza di Apple all'inizio del XXI secolo.

È Tim Cook che nel 1998 ridisegna la produzione just-in-time di Apple, i rapporti con i terzisti cinesi (tra cui la gigantesca Foxconn con le fabbriche di Shenzen) e che lavora instancabilmente dieci, dodici ore al giorno, dormendo pochissimo, andando in palestra alle cinque di mattina e poi direttamente in ufficio, con una vita apparentemente monacale, senza che nessuno abbia mai sentito parlare di una famiglia o almeno di una (o un) partner.

E sono questi gli elementi chiave. La calma ma inflessibile dedizione al lavoro, la capacità di costruire instancabilmente, la cura per la salute fisica e la privacy assoluta che “copre” il suo orientamento sessuale - poi apertamente dichiarato volontariamente perché Cook ha giudicato più importante far sapere ai giovani gay che un leader d'impresa come lui è omosessuale e ha superato discriminazioni e ostacoli che spesso piegano la volontà delle persone e “rompono le loro carriere”.

In questi aspetti del carattere di Cook ci sono i lati più importanti della sua strategia: rispetto totale della privacy dei suoi utenti, attenzione all'ambiente, alla salute, al benessere. Capacità lavorativa enorme. Tim Cook, che non è un tecnologo e non ha una visione del futuro legata alle tecnologie di prodotto o alle innovazioni che provocano dei “wow” come Steve Jobs e gli altri maghi e incantatori della Silicon Valley, ha messo sul piatto i tratti più significativi del suo carattere e della sua storia: privacy, diversità, salute, benessere, futuro a misura di tutti, ambiente.

Per questo la dichiarazione che «noi di Apple siamo favorevoli a una normativa federale sulla privacy per gli Usa» non sorprende così come non sorprende la sua attitudine a dire e fare la “cosa giusta”. Cook non vuole vendere un futuro tecnologico ma cerca di stipulare un patto con gli utenti che i numeri uno di Facebook e Google, cioè Mark Zuckerberg e Sundar Pichai, non possono proporre: fidatevi di me, la mia storia lo dimostra. Anche e soprattutto parlando di privacy.

@antoniodini

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