Lo scioglimento del permafrost è sia una conseguenza sia un effetto del
cambiamento climatico.
Con il surriscaldamento del pianeta, il disgelo della terra congelata in Siberia produce metano, un gas serra fortissimo conservato sotto la superficie. Questo contribuisce al cambiamento climatico e intensifica il disgelo.
Oggi, degli scienziati russi stanno cercando di interrompere questo circolo vizioso con un'idea originale. Il loro piano è ricreare gli ecosistemi dell'era glaciale, ripristinando la tundra e portandoci grandi animali come gli yak, i bisonti e addirittura i mammut. L'ultimo rapporto del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (Ipcc), pubblicato all'inizio di ottobre, annuncia che se le temperature globali superassero i livelli pre-industriali di 1,5°C, si scioglierebbero 4,8 milioni di chilometri quadrati di permafrost. E il numero salirebbe a 6.6 milioni di chilometri quadrati se le temperature superassero i livelli pre-industriali di 2°C. Oggi, il permafrost ha una superficie di circa 23 milioni di chilometri quadrati distribuiti tra Siberia, Alaska, l'Artico Canadese e alcune alte catene montuose. Costituisce un quarto dell'intero emisfero boreale.
La maggior parte delle aree di permafrost si trova in Russia, dove il permafrost
costituisce tra il 50% e il 65% del territorio nazionale a seconda delle stagioni.
Secondo una relazione recente del Ministero per le Risorse Naturali e l'Ambiente
della Russia, il riscaldamento globale sta colpendo la Russia in modo più violento rispetto alla maggior parte del pianeta.
Tra il 1976 e il 2017, in Russia le temperature medie sono aumentate di 0,45°C ogni 10 anni, rispetto ai 0.18°C del resto
del mondo.
Questi cambiamenti hanno riscaldato il permafrost russo, facendolo recedere verso nord – fino a 100km, secondo un gruppo di
scienziati della George Washington University, l'Istituto Idrologico di San Pietroburgo e l'Istituto della Criosfera Terrestre
di Mosca. Secondo loro, l'aumento delle temperature di solo 1°C può causare la perdita di un'area di permafrost grande come
la Mongolia, o addirittura come la Groenlandia.
I ricercatori stimano i costi diretti del deterioramento del permafrost in diversi
miliardi di dollari l'anno – dato che solo la manutenzione delle tubature richiede più di un miliardo e mezzo l'anno. Nell'Artico
russo, lo scioglimento del permafrost ha già causato danni a case e infrastrutture.
“Dobbiamo riconoscere che perderemo una certa percentuale di permafrost - dice Alexey Kokorin, direttore del programma per il clima e l'energia del Wwf Russia -. Nella maggior parte dei luoghi, la massa di terra congelata diventerà sempre più sottile e i periodi di disgelo, compreso il disgelo estivo, diventeranno sempre più lunghi.” Kokorin sostiene che una delle soluzioni fondamentali al problema sia di adattarsi alle nuove condizioni, che comporta il rafforzamento o la sostituzione delle infrastrutture esistenti.
Nikita Zimov, uno scienziato russo di 35 anni, ha un'idea diversa. Da quando aveva due anni, ha vissuto con la sua famiglia in una base di ricerca scientifica sopra il circolo polare artico nella Repubblica di Jacuzia. Dopo la laurea all'Università di Novosibirsk è tornato alla base, e insieme col padre Sergey Zimov ha avuto l'idea di ricreare l'ecosistema artico che ha preceduto la comparsa di esseri umani: steppe di tundra con grandi praterie altamente produttive.
“Stiamo cercando di reintrodurre grandi animali, la cui presenza sosterrebbe la
crescita di erba, che assorbirebbe CO2 dall'aria riportandola sotto terra,” spiega.
“Calpestando la neve, gli animali la renderebbero più compatta, facendola congelare più in profondità durante l'inverno e
prevenendo il disgelo del permafrost.” Le praterie sarebbero di colori più chiari dell'ecosistema di acquitrini e piccoli
arbusti di oggi, quindi la soluzione potrebbe anche ridurre l'effetto albedo – il fatto che le superfici di colori più scuri
assorbono più luce solare, mentre quelle più chiare la riflettono nell'atmosfera.
Nel 1996, Sergey Zimov diede il via a un progetto nel Parco del Pleistocene, un parco di circa 144 chilometri quadrati vicino alla base di ricerca, e a circa 150 chilometri dall'oceano artico. Oggi il parco contiene 20 chilometri quadrati di territorio protetto per circa 100 specie animali, tra cui yak, pecore, renne, cavalli della Jacuzia, mucche di Kalmyk, bisonti europei e buoi muschiati.
Nikita Zimov, il figlio, racconta che avrebbero voluto importare il bisonte americano dall'Alaska, che abitava la Siberia molto tempo fa, ma il parco non ha trovato un modo per trasportare degli esemplari a basso costo. Ora stanno cercando degli esemplari in altre aree della Russia.
Nel 2013, Sergey Zimov ha incontrato George Church, uno scienziato dell'università di Harvard. Il team di Church stava lavorando per far tornare in vita i mammut partendo da Dna trovato nel ghiaccio artico. Se il progetto funziona, gli Zimov sperano che il primo mammut possa venire a vivere nel Parco del Pleistocene.
Per ora, i creatori del parco hanno finanziato il progetto coi propri mezzi e con
campagne di raccolta fondi. “Ho osservato l'impatto del cambiamento climatico sul parco, specialmente negli ultimi tre anni,”
dice Nikita Zimov. “La nostra iniziativa cerca di dimostrare come si possa rallentare il processo, e mette in mostra la nostra
soluzione. Speriamo che quando potremo dimostrarne il successo venga adottata in altre regioni del nord del pianeta.”
Questo articolo è pubblicato nell’ambito di Solutions&Co, un’iniziativa internazionale e collaborativa tra venti testate giornalistiche da tutto il mondo focalizzata sulle imprese che stanno sviluppandosi oltre lo stadio di startup nella lotta contro il climate change. Trovate altre storie qui.
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