È un cartoncino più piccolo di una carta di credito. Una goccia d’acqua, poche briciole di terriccio e inquadriamo con il telefonino la reazione colorata della cartina: «L’intelligenza artificiale nel cloud riconosce i tipi e livelli degli inquinanti presenti, e aggiorna la mappa del territorio fatta di rilevazioni semplici, rapide, che praticamente non richiedono apparecchiature locali o una infrastruttura che non sia la telefonia mobile». Alessandro Curioni è Ibm Fellow(il più alto grado a cui possa aspirare uno scienziato che lavora per Big Blue) e vicepresidente di Ibm Europa, con la responsabilità del Research Lab di Zurigo. Classe 1967, nato a Como, laureato a Pisa in chimica teorica, Phd alla Normale, ha iniziato a lavorare con Ibm nel ’93, ancora prima di ottenere il dottorato. Cervello in fuga? «Ma no! Anzi, venendo da Como in realtà la Svizzera è sempre stata di là dal confine». A Milano, al Museo della scienza e della tecnologia, sta per parlare con una piccola folla di bambini e bambine.
Lontano dalla definizione di scienziato chiuso in una torre d’avorio: «La scienza si fa capire, con qualsiasi interlocutore». Anche con il bambino, per nulla emozionato, che lo intervisterà sul palco, su temi oggettivamente difficili. Dopotutto farsi capire è il mestiere di Curioni, perché il lavoro del laboratorio di ricerca di Zurigo è inventare pezzi di futuro. Come farlo dentro una grande multinazionale che ha cambiato pelle così tante volte? Dopotutto, altri colossi non sono riusciti a trasformare direttamente in prodotti e ricchezza la ricerca scientifica: «Innestare nel business le innovazioni trasformazionali vuol dire cambiare prima di tutto il business. È la difficoltà più grande. Il segreto sono i sei miliardi di dollari investiti ogni anno in ricerca e sviluppo e una consapevolezza che mi accompagna da quando sono entrato in Ibm. Centosette anni fa, quando venne fondata, l’azienda faceva bilance e affettatrici. Conservo una copia di quel primo organigramma, perché è la mia bussola: unità vendita, produzione, risorse umane, finanza. Tutto normale. E poi la ”unità innovazione e ricerca”: innovare è un destino scritto nel Dna di questa azienda».
I grandi temi su cui Curioni, uno dei maggiori esperti mondiali di cognitive computing, organizza il lavoro di Zurigo sono vari: creare nuovi algoritmi di intelligenza artificiale che riescano a fare di più, in modo più accurato, con meno dati e meno potenza. Ad esempio, aiutando a ripulire i set di dati dai bias: in futuro solo le aziende che metteranno a fuoco questi bias e li elimineranno avranno successo, perché creano fiducia e affidabilità. Oppure spiegare il funzionamento dei sistemi di Ai, black box di cui conosciamo gli obiettivi ma non il modo con il quale procedono, utilizzando altri sistemi pensati per questo. C’è poi il tema della sicurezza in ambito Ai: con tecniche sofisticate si possono hackerare e sabotare anche i sistemi di intelligenza artificiale. Per questo gli algoritmi di oggi non sono gli stessi di venti anni fa: tengono conto del modo per difendersi dagli attacchi.
La fine della legge di Moore, e quindi del sistema che per trent’anni ha fatto crescere e reso sempre più democratica la potenza di calcolo, apre opportunità inedite. Se l’era dei processori tradizionali tramonta, prima dell’arrivo del quantum computing si fanno strada altri paradigmi: dai sistemi neuromorfici, che mimano il comportamento dei neuroni, all’in-memory computing, che archivia i dati assieme ai programmi direttamente nella memoria di lavoro, fino ai computer analogici, che sfruttano fenomeni fisici, usano valori continui e non discreti e che producono risultati non deterministici. «I margini per innovare – dice Curioni – sono enormi. Il successo del paradigma di Moore si è portato dietro la crescita di una sola parte della scienza informatica. Ma adesso ci sono ampissimi spazi in direzioni diverse. Incluso il quantum computing, che permette applicazioni concrete nella ricerca chimica, farmaceutica e dei materiali, permette di progettare l’ottimizzazione di sistemi complessi in finanza o per la logistica, sino ad arrivare a una frontiera ancora tutta da esplorare: le Ai basate su sistemi di quantum computing. Algoritmi ancora da inventare».
La blockchain? «La portiamo nel mondo reale. Ad esempio con farmaci timbrati con il codice di un blocco unico, per evitare contraffazioni garantendo la qualità: sicurezza della filiera farmacologica o del food, per ridurre i rischi e la perdita economica da contraffazione. Sono crypto-anchor per verificare l’integrità ad esempio di un test usa-e-getta per la malaria».
Sarà un mondo diverso.
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