Hanno nomi nuovi e storie recenti i nuovi titani cinesi della telefonia mondiale. A colpi di innovazione e investimenti sono
diventati attori protagonisti di un mercato, quello degli smartphone, che fino a un paio d'anni fa vedeva un duopolio Apple-Samsung
che relegava la Cina nelle retrovie. Ora la storia è cambiata, nella classifica dei primi cinque produttori di telefoni ben
tre sono cinesi.
Un nome su tutti è quello di Huawei, che ha rubato il secondo gradino del podio ad Apple. Un impero da 180mila dipendenti, quello fondato da Ren Zhengfei, che ancora oggi non è quotato in borsa, nonostante nel 2017
il fatturato complessivo abbia raggiunto i 92,5 miliardi di dollari. Produce da almeno quattro anni modelli che stanno trovando
grande risposta sul mercato, con le serie P e Mate.
La crescita di Xiaomi
Di fianco, cresce velocemente Xiaomi. Fondata nel 2010, l'azienda produce smartphone, tablet e smartwatch, ma anche tutta
una serie di device come robot per la pulizia domestica, auricolari Bluetooth, zaini e router Wi-Fi. La fondazione della società
fu possibile grazie a Jeff Bezos, che con un assegno da 75milioni di dollari acquistò la piattaforma di eCommerce cinese Joyo,
di proprietà proprio di Lei Jun. Con quei soldi in tasca, Lei Jun fonda la startup Xiaomi, un nome che proviene da un cereale
molto diffuso in Cina. Oggi siamo davanti a una storia di successo tecnologico e di fatturato (centuplicato in pochi anni)
che ha consentito a Xiaomi di prendersi l'appellativo di “Apple cinese”. Da qualche mese ha aperto negozi fisici in giro per
l'Europa (anche in Italia), e il suo modello di riferimento, oggi, è Mi 8 Pro, acquistabile a meno di 500 euro.
Le innovazioni di Oppo
Storia molto simile è quella di Oppo, fondata nel 2004 e inizialmente relegata a produttore di telefoni di fascia bassa. Oggi
l'azienda ha superato Apple nel mercato cinese, e sta cercando di conquistare l'occidente a colpi di innovazione. Da poco
ha fatto il suo debutto anche sul mercato italiano, dove ha portato il modello Find X (con una variante Lamborghini Edition).
Da sempre il focus è stato quello di innovare: dalle fotocamere rotanti a quelle a scomparsa.
L'ex startup OnePlus
Infine OnePlus, che produce smartphone top di gamma a metà del prezzo rispetto ai competitor. l marchio è stato fondato nel
dicembre del 2013 da Pete Lau e Carl Pei. Una piccola startup con sede a Shenzhen con in mente grandi cose. Per numeri, OnePlus non può competere coi marchi più grossi. Ma per tecnologia assolutamente sì. La forza di questo progetto
è l'idea di fondo. OnePlus ha intrapreso la strada dell'alta qualità a prezzo contenuto, puntando tutto sulla produzione di
nicchia. Numeri contenuti, pochi dipendenti, niente grande distribuzione e smartphone molto performanti. La chiave di successo
è stata questa. Molti la paragonano ad Apple per marketing e politiche post vendita. L'ultimo modello è il 6T, e per prestazioni
ha pochi rivali.
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Una rivoluzione in dieci anni
Eppure una decina di anni fa, negli stabilimenti Foxconn di Shenzhen, migliaia di operai cinesi lavoravano allo smartphone
che avrebbe cambiato per sempre la storia della telefonia mobile: l'iPhone. A qualche centinaia di metri di distanza, negli
stabilimenti di Huawei, si lavorava a dispositivi con poche pretese, dal design rivedibile e a scarso contenuto di innovazione
come il Huawei U8150.
Il mercato del mobile si apprestava a un ribaltone senza precedenti, che in un paio d'anni avrebbe fatto malissimo ai finlandesi
di Nokia (leader indiscussi del settore, fino a quel momento), portando alla ribalta la Apple di Steve Jobs. Seguirono anni
in cui la corsa alla leadership del mondo smartphone diventò una corsa a due: Apple e Samsung. Roba fra Stati Uniti e Corea,
con la Cina relegata alla manifattura ad orario continuato.
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Questa storia, però, è durata meno del previsto. Oggi, alle soglie del traguardo più atteso per il mondo mobile (l'arrivo
del 5G), proprio la Cina sta sparigliando il tavolo, mettendo in crisi uno dei protagonisti indiscussi di questi anni come
Apple (che giovedì ha perso il 10% in borsa). Nuovi produttori di smartphone si stanno prendendo la scena, e lo stanno facendo
a colpi di innovazione e prezzi contenuti. Così, mentre i top di gamma del momento arrivano a costare anche 1200 euro, un
produttore come OnePlus porta sul mercato uno smartphone ultrapotente e ben disegnato (il OnePlus 6T McLaren edition) che
costa la metà. Un esempio lampante di come le cose siano cambiate.
Filiera e innovazione
Che l'idea di Pechino fosse quella di non rimanere relegata a mera fabbrica del mondo, ma di trasformarsi in pioniere dell'innovazione,
emerge in modo chiaro dal programma di governo del presidente Xi Jinping. Lo confermano gli investimenti in tecnologie come
l'intelligenza artificiale, cloud compunting e big data. Nel mondo degli smartphone, però, la differenza l'hanno fatta due
fattori: gli investimenti in design e ricerca e sviluppo, e la filiera. Shenzhen, ex villaggio di pescatori e oggi metropoli
da 13milioni di abitanti, è una città della Cina meridionale dove viene prodotto il 90% degli smartphone di tutto il mondo.
Ogni singolo componente viene fabbricato da quelle parti: dai display ai condensatori, dalle scocche alle fotocamere. E ultimamente
anche i microprocessori. Huawei, da un paio d'anni si produce in casa i suoi Kirin, facendo a meno degli Snapdragon dell'americana
Qualcomm. E la tendenza sembra proprio questa. La presenza di una filiera così ben aggregata ha contribuito a far diventare
la provincia del Guangdong l'ombelico del mondo degli smartphone. E quei produttori che fino a qualche anno fa proponevano
dispositivi di terza fascia, oggi giocano sul tavolo che conta e spesso conducono la partita.
Occhio al software
Lo smartphone, insomma, sembra sempre di più un affare cinese. Il Paese del Dragone si è riscoperto innovatore, oltre che
produttore. La leadership di questo mercato ormai gli appartiene, e l'unico filo che lega la Cina all'occidente – oggi – rimane
il sistema operativo Android. C'è chi mormora, però, che sia in fase di studio un sistema operativo autoctono, almeno per
il mercato interno. Ed è difficile, in effetti, pensare che ciò non avvenga. Basta guardare a cosa è successo con WeChat,
del resto, per farsi un'idea di come il prossimo passo della Cina sia proprio il software.
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