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Dentro un data center, il caveau dove sono custoditi i nostri dati

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Dentro un data center, il caveau dove sono custoditi i nostri dati

(Ansa)
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Dall’anonima facciata stile Vecchia Milano nulla tradisce su cosa e chi si trovi all’interno dell’edificio. Né un cognome né un logo. Una neutralità che attira l’attenzione solo quando varchi la soglia e un uomo in divisa, oltre la vetrata, fa scattare la porta perché già sa del tuo arrivo: gli è stato annunciato giorni prima, hai l’autorizzazione, puoi passare alla firma delle norme di sicurezza prima di avere il badge e accedere. Accedere a un luogo che deve essere sicuro e affidabile come il caveau di una banca. Perché contiene l’oro dell’economia digitale: il dato.

«Sì, in effetti siamo molto discreti, perché i nostri clienti richiedono sicurezza e discrezione» sorride Emmanuel Becker, managing director Italy di Equinix, società quotata al Nasdaq, 4,4 miliardi di dollari di fatturato a livello mondiale generati da 200 data center. «Questa sala, che abbiamo inaugurato a novembre, sarà piena entro fine 2019» aggiunge il manager della società che ha un portafoglio clienti molto diversificato: i big cloud content provider, aziende italiane soprattutto nella finanza e nell’automotive, nonché piccole e medie imprese.

Il fabbisogno mondiale dei luoghi in cui vengono protetti ed elaborati i nostri dati salirà in modo esponenziale nei prossimi anni. «L’Italia sta recuperando terreno sull’innovazione e le aziende sono impegnate nella trasformazione digitale e quindi si pongono sempre più la questione di come e dove mettere i dati, andando oltre la logica dei vecchi Ced. Noi quindi contribuiamo alla cura del lato fisico del dato» spiega Franco Guidi, amministratore delegato di Lombardini22, che ha collaborato con Equinix per l’ampliamento e l’efficientamento delle sedi milanesi di via Savona e di Basiglio. Un settore in cui si moltiplicano le commesse tanto che proprio la terza società italiana di architettura (12,2 milioni di euro di fatturato) si è associata con la francese Cap Dc che ha già progettato e realizzato 900 data center nel mondo. La protezione fisica del dato infatti presuppone una serie di requisiti e competenze tecniche.

«Non esiste però un design standard, tutte dipende dalle esigenze dei clienti. A partire dalla scelta del luogo. C’è chi vuole creare un data center in città adattando l’edificio pre-esistente, chi preferisce essere in mezzo al nulla - perché magari c'è una importante dorsale - e costruire da zero. In ogni caso c’è sempre una complessità di aspetti da tenere conto», spiega Alberto Caccia alla guida di Cap Dc Italia.

Quello che non cambia sono una serie di standard che diventano fattori competitivi. Ma la precondizione sono i costi, a partire dall’energia: un rack, ovvero un armadio modulare che contiene più server, consuma come una casa italiana di medie dimensioni. Ma le stanze che visitiamo non si misurano in metri quadrati. La più nuova misura 500 metri quadrati ma per Equinix Italia il dato significativo è che vale 420 kilowatt. In generale i data center consumano due tre volte di meno rispetto ai server nelle rispettive aziende, grazie a tecnologie e condizioni di efficientamento. Ma, nel suo complesso, l’elaborazione di moli di dati - spinta dall’economia digitale - ha bisogno di tanta energia e da tempo i gestori dei data center sono impegnati per migliorare l’impronta ecologica.

«Una delle questioni è che l’Italia ha i costi dell’energia più alti d’Europa, dopo la Grecia e la Germania che però sconta il green ticket per l’uscita dal nucleare – aggiunge Becker – In rappresentanza dei data center sul territorio italiano ho avanzato una proposta a Roberto Fico e a Stefano Firpo. Affinché i grandi provider non vadano nei paesi vicini, ho proposto di abbassare l’accise sul costo dell’energia. Questa misura avrebbe la conseguenza diretta della crescita degli investimenti con un vantaggio per le Entrate. Inoltre questo libererebbe risorse da investire nella green energy 100%».

L’obiettivo dei data center è migliorare l’efficienza che si esprime in Pue (Power Usage Effectiveness). Un valore Pue pari a 2 indica che per ogni watt di energia It ne viene consumato un altro per il raffreddamento e la distribuzione di energia alle apparecchiature It. L’ottimale sarebbe 1 ovvero tutta l’energia assorbita dall’impianto viene utilizzata per gli apparati It. In questa direzione molto aiutano le più avanzate tecnologie e molto può contribuire il design: «Per esempio, separare i corridoi freddi la cui temperatura viene abbassata dall’impianto di raffreddamento, dai corridoi caldi permette di ottimizzare i flussi» spiega Caccia, che ha implementato lo stesso sistema in via Savona. Equinix - come le altre società del settore - è impegnata nel ridurre il Pue utilizzando le tecnologie e le energie rinnovabili . Il Pue a livello globale è 1,2 mentre in Italia - svantaggiata per essere un paese a clima mite - è 1,6.

L’altra caratteristica dei data center - imprenscindibile per i progettisti - è la sicurezza. Non solo da eventi esterni (calamità naturali come terremoti) o attacchi terroristici (per esempio, viene valutata la vicinanza a infrastrutture critiche) . Ma da tutti i possibili incidenti interni. Gli impianti devono garantire la continuità di funzionamento anche in caso di black-out energetico. Perfino qualche secondo può essere fatale per le transazioni finanziarie. Così per esempio il nuovo ammodernamento di Equinix ha portato a un sistema di backup degli impianti, la cosiddetta ridondanza. Ogni rack ha due ingressi per l’alimentazione elettrica. Non solo. Se il monitoraggio lancia un allerta scattano i sistema di batterie Ups (anch’essi doppi) e infine i gruppi elettrogeni. Insomma ogni eventuale criticità di scenario è contemplata in modo da garantire la funzionalità dei server. È doppio anche l'impianto di raffreddamento. Tutta la struttura è progettata nell’ottica della prevenzione del rischio. Per esempio un sofisticato sistema di monitoraggio nei canali di ripresa dell’aria valuta se ci sono particelle che creano le condizioni favorevoli per una scintilla. Tutto l’edificio ha 7mila punti di monitoraggio da cui può partire un eventuale segnale di preallerta o di allerta. «Tutto questo ci permette di garantire da contratto un’affidabilità del 99,999% sui nostri data center. Che si traduce in un rischio annuo di 3 minuti – spiega Becker - L’obiettivo è di aggiungere un 9 entro quest’anno. Il che comporta milioni di euro di investimento».

Il livello di affidabilità attira chiaramente le aziende contribuendo a una sorta di geostrategia dei data center. A cui contribuisce la grande questione della localizzazione dei server rispetto all’accessibilità o meno da parte delle autorità giudiziarie. E ci sono le strategie dei traffici - come avviene per le rotte marine o aeree - su diverse scale. A partire dal lungo raggio. «L’Italia è un buon punto di ingresso da sud per il traffico dati che arriva da Nord Africa e Medio Oriente verso l’Europa. Traffico che oggi passa da Marsiglia all’85% ma che valorizzando l’Italia come landing station, punto di arrivo dei cavi sottomarini, potrebbe portare nuovi investimenti e nuovi attori» aggiunge Becker. Sul breve raggio la scelta varia a seconda della disponibilità della fibra e dalla distanza dall’utente finale. Con l’ascesa delle smart city avere il data center metropolitano significa ridurre il tempo di latenza.

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