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La blockchain cresce ma fatica a entrare in azienda: il vero valore sta nell’ecosistema

Reuters
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We.trade è una piattaforma per la gestione del trade finance via blockchain, con un occhio di riguardo per le pmi: partito sei mesi fa, il progetto del consorzio di nove banche europee, tra cui UniCredit, procede in maniera efficace. Così come funziona Vakt, messa a punto da un gruppo che mette insieme major petrolifere, trader e banche per rendere più efficiente il post trading delle commodities, sempre sulla base della blockchain. A Zug, in Svizzera, un progetto di gestione dell’identità ha permesso a un paio di centinaia di cittadini di esprimere il loro voto su questioni locali. Maersk, colosso della logistica, ha avviato la piattaforma per scambiare informazioni e documenti tra i diversi soggetti, dai porti alle dogane ai trasportatori. Sono alcuni esempi in cui la tecnologia diventata famosa grazie al Bitcoin è riuscita a dispiegare i suoi effetti in termini di efficienza, velocità e sicurezza. Ma nel complesso la blockchain fatica a fare breccia nel business. Per un modello che procede efficacemente ce ne sono tanti che arrancano: il livello degli investimenti rimane ancora piuttosto limitato, soprattutto per una tecnologia che vuole rivoluzionare il business con un nuovo paradigma basato sul “registro distribuito”.

Le aziende italiane hanno speso l’anno scorso 15 milioni di euro in formazione, consulenza e progetti, mentre sono in totale 150 i progetti portati avanti nel corso del 2018, troppo spesso fermi all’ideazione. A fare le cifre è l’Osservatorio Blockchain & Distributed ledger del Politecnico di Milano, che sarà presentato domani. E l’Italia non è neanche messa male in uno scenario globale che ha visto crescere del 76% a 328 i progetti di blockchain, a un ritmo rallentato rispetto al +186% dell’anno prima: solo 46 sono i progetti operativi, mentre 90 sono quelli ancora a livello di prototipazione e ben 192 sono solo annunci. Il totale in tre anni arriva a 579 casi.

Sono cifre che denunciano le criticità di una tecnologia disruptive ma ancora lontana dalla maturità. «È necessario che le imprese facciano il salto di qualità ragionando in un’ottica di ecosistema - sostiene Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio del Politecnico -: se penso ai casi che coinvolgono solo una singola azienda spesso la blockchain non è utile, mentre il suo vero valore deriva dal fatto che tutti gli attori possono accedere allo stesso tipo di informazioni in maniera condivisa e decentralizzata, in modo da poter dispiegare valore per tutti». La chiave di volta del successo sembra proprio questa: l’ecosistema. I progetti che hanno avuto successo sono quelli in cui diversi attori, con lo stesso problema di business, hanno saputo mettersi insieme attorno all’asset centrale senza replicare un modello di nuovo centralizzato. Se no la singola azienda si ritrova a fare investimenti sproporzionati rispetto al valore realizzato o percepito, mentre gli altri attori non si sentono protagonisti.

In effetti si aggiungono la mancanza di competenze, la scarsa consapevolezza, la carenza di risorse a disposizione e la difficoltà nel valutare i benefici attesi a creare barriere all’adozione, che risulta ben più lenta di quanto ci si potesse aspettare di fronte all’entità dei potenziali benefici. Soprattutto per il “made in Italy” che vede nella tracciabilità e nella certificazione di qualità uno dei fattori cruciali per l’export. «Siamo ancora in una fase di conoscenza: le imprese sono forse un po’ troppo concentrate sugli aspetti più tecnici, invece bisogna fare opera di educazione perché possano comprendere la logica con cui opera e i benefici che ne possono ricavare. In questo senso il gruppo di esperti nominati dal Governo ha un ruolo determinante nel contribuire a definire le strategie per comprendere le potenzialità, gli ambiti e le priorità e di mettere a punto le linee guida per le aziende», prosegue Portale, che non si sblinacia in previsioni: «Il 2019 sarà un anno di transizione, ma ci sono tutte le condizioni perché questa fase non sia troppo lunga».

La collaborazione per la creazione di un ecosistema che crei fiducia e vantaggi reciproci lungo l’intera catena del valore è enfatizzato anche dal report di Bcg dedicato al comparto di trasporti e logistica. Il 60% degli intervistati ritiene infatti che la mancanza di coordinamento tra gli stakeholder e l’assenza di un ecosistema costituiscano un grave ostacolo all’adozione di blockchain. Che ha enormi potenzialità nell’integrare le diverse operazioni tra i vari protagonisti - dogane, porti, operatori di logistica, banche, assicurazioni, trasportatori - a patto però che il sistema sia interoperabile e a disposizione di tutti. Che il progetto non sia disegnato attorno a un singolo, ma che sia rispettoso delle esigenze dell’intero ecosistema. Perché la blockchain funziona se sa recuperare il valore(per tutti) insito nella decentralizzazione delle informazioni.

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