Anni a parlare del 5G come prossima frontiera, e proprio ora che ci avviciniamo al fatidico 2020, anche se già il 2019 vedrà diverse esperienze commerciali della nuova tecnologia di rete, sono geopolitica e i rischio di cyber spionaggio a prendersi i titoli. «Qui a Barcellona si parla di tecnologia, non di politica» ha risposto un po’ stizzito Vincent Pang, il capo dell’Europa occidentale della divisione business di Huawei, a una domanda su Trump da parte di un giornalista del New York Times durante un incontro con la stampa al Mobile World Congress di Barcellona, che si è tenuto nella capitale catalana la scorsa settimana.
In sala è scesa una certa tensione. L’azienda cinese era molto determinata nel volersi smarcare da ogni accusa e affermare la sua presenza nel mercato europeo: «Siamo qui da 15 anni e ci sentiamo un’azienda europea. Non abbiamo mai avuto problemi con la sicurezza. Abbiamo ottimi rapporti con l’industria manifatturiera e con gli operatori. Se abbiamo sbagliato qualcosa? Forse abbiamo sottovalutato il livello di questa sfida, tecnica o politica che sia».
Sarebbe intuitivo immaginare che l’azione del governo americano contro Huawei e la relativa pressione sugli Stati europei per escludere l’azienda cinese dalla partita 5G nel Vecchio Continente sia positiva per Ericsson, principale competitor globale insieme e Nokia e Samsung. Non è così: «Siamo in un business global e qualsiasi cosa possa restringere il mercato non è positiva. Noi stessi sul 5G siamo attivi con due progetti in Cina. Da un irrigidimento abbiamo tutto da perderci» spiega al Sole 24 Ore Fredrik Jejdling, responsabile globale delle reti per l’azienda svedese. Non sembra essere solo una posizione politically correct. «In Europa il processo di implementazione del 5G viaggia più lentamente di Stati Uniti e Cina perché ci molti Paesi hanno regole diverse».
Qualche giorno prima della fiera di Barcellona il ceo di Ericsson, Börje Ekholm, si era espresso in termini ancora più espliciti: «Il focus su un solo aspetto (l’affidabilità di Huawei, ndr) rischia di rallentare l’adozione del 5G in Europa». I reali problemi nel Vecchio Continente a suo dire sono altri: la mancanza di spettro, il suo costo elevato, le normative che rallentano, tanto che alcuni Paesi non hanno ancora svolto le aste.
Non è il caso dell’Italia, dove l’asta c’è stata e ha portato alle casse dello stato 6,5 miliardi di euro. «L’Italia sulla mobilità è tradizionalmente avanti - continua Jejdling - gli operatori hanno pagato non poco le frequenze». I servizi saranno a pagamento? «Sì, perché il 5G offrirà un valore molto elevato. Si andrà verso un modello di prezzo basato sui servizi, non più soltanto flat». In sostanza il 4G «resterà a lungo, è un’ottima rete» e manterrà l’attuale sistema di tariffazione, mentre si andrà verso «una rete che non viene tanto identificata dalla sua generazione, ma dal servizio che offre».
Diventerà dunque centrale la valutazione che ne faranno gli utenti. Quali servizi? «Scarsa latenza e velocità della nuova rete sono alla base della piattaforma che stiamo costruendo per avere applicazioni nell’industria 4.0». In primis dunque oggetti e robot industriali connessi, con meno tecnologia da portante dentro i locali e più intelligenza sulla rete. In pratica i vantaggi del cloud che dal software arriva nelle fabbriche. Poi maggior velocità per il gaming, e la possibilità di essere un’alternativa alla fibra ottica. Quanto alla sicurezza: «Nel 5G la sicurezza non è un elemento aggiuntivo ma fa parte, fin dall'inizio, del processo di standardizzazione. Anche perché è un tema particolarmente critico: pensi a una flotta di veicoli gestiti da remoto. Devono esserci le giuste garanzie. In Ericsson abbiamo oltre 700 esperti di sicurezza che lavorano su questo».
© Riproduzione riservata