Ha dato un contributo fondamentale all’esperimento che molti scienziati hanno definito “incredibile”, ovvero quello in cui i ricercatori dell’Università di Yale dopo aver collegato 32 cervelli di maiali morti a un dispositivo appositamente costruito e perfuso con un particolare sangue artificiale brevettato (BrainEx), sono riusciti a ripristinare alcune funzioni molecolari e cellulari del cervello, tra cui l’attività elettrica spontanea nei neuroni e funzioni metaboliche importanti come il consumo ossigeno e glucosio.
Sono state le analisi elettrofisiologiche condotte dalla dottoressa Francesca Talpo, 34 anni il prossimo 27 aprile, a definire le condizioni ottimali per la messa a punto della tecnica BrainEx e permesso di determinare la funzionalità dei singoli neuroni in seguito all’irrorazione con il sangue artificiale.
Talpo oggi è assegnista di ricerca al dipartimento di Biologia e Biotecnologie “L. Spallanzani” dell’Università di Pavia: qui si è laureata in neurobiologia e, dopo un dottorato in neuroscienze, è andata negli Stati Uniti, a Yale, con cui continua a collaborare dall’Italia.
Dottoressa, avete ottenuto un risultato sorprendente, quali sono ora le prossime tappe dell’esperimento?
«Sono un po’ frastornata perché non mi aspettavo tutto questo clamore in poco tempo - dice come prima cosa al telefono - In
effetti, abbiamo dimostrato che, almeno a livello cellulare e molecolare, le cose non sono così irreversibili come pensavamo
dopo che il cervello è stato privato di sangue e ossigeno. Ma va detto che questo non è un cervello vivente, ma un cervello
con cellule attive. Il prossimo obiettivo sarà quello di allungare i tempi di perfusione e capire cosa succede con tempistiche
più lunghe, fino a 10-20 ore. Inoltre la tecnica BrainEx potrà essere applicata anche a mammiferi diversi dal maiale e potrà
permettere di studiare in dettaglio le connessioni funzionali tra le diverse aree cerebrali su cervello sano o in condizioni
patologiche. Fino ad ora gli esperimenti sono stati condotti sulle cavie, e in soluzioni di ipotermia, mentre in questo caso
il sangue artificiale – costituito da una soluzione acellulare a base di emoglobina – è stato perfuso a 37 gradi. Prima
di pensare all’applicazione sull’uomo occorre capire cosa succede allungando i tempi di perfusione ovvero se si riaccende
un’attività cerebrale d’organo e non solo cellulare. Oggi non sappiamo perché non abbiamo visto un’attività elettrica globale,
non necessariamente infatti l’attività elettrica delle singole cellule determina un’attività sincronizzata che può portare
a un’attività corticale.
Però avete registrato uno scambio di informazioni tra le cellule?
Sì, i contatti sinaptici sono mantenuti, ma sempre su singole cellule, mai un’attività globale a livello di popolazione. Il
tempo è uno dei fattori determinanti da valutare, se troppo breve potrebbe non permettere una ripresa dell’attività. Ma potrebbe
anche esserci un danno profondo oppure un effetto della stessa tecnica: il sangue artificiale contiene un tipo di bloccanti
che sono fondamentali per ridurre l’attività delle cellule facilitando il mantenimento della loro vitalità. Però, nel contempo,
la presenza massiccia di questi bloccanti potrebbe “spegnere” l’attività globale delle popolazioni di cellule.
E se si eliminano i bloccanti cosa potrebbe succedere?
Molto probabilmente senza questi elementi si potrebbero innescare dei processi citotossici e difficilmente si avrebbe un recupero
funzionale così buono e ampio come abbiamo verificato. In questo momento i bloccanti sono indispensabili, in prospettiva si
potranno dosare o eliminare, ma sono cose che vanno indagate.
E sul fronte delle potenzialità della ricerca?
È senz’altro uno strumento di ricerca sia per il cervello sano sia per quello malato. Partendo dal fatto che le cellule
cerebrali hanno metabolizzato l’ossigeno e il glucosio molto come le cellule viventi. I neuroni accumulavano informazioni
che portavano esplosioni elettriche chiamate potenziali d’azione sia spontaneamente che in risposta a uno stimolo elettrico,
come fanno i cervelli viventi. I vasi sanguigni si sono dilatati in risposta ai farmaci comenei cervelli viventi. I mitocondri,
che forniscono energia alle cellule, erano intatti all'interno dei neuroni, come la mielina, la guaina grassa che fornisce
isolamento ai neuroni in modo che possano condurre segnali elettrici. Queste osservazioni avranno importanti ripercussioni sia per la ricerca di base sia per la ricerca farmacologica e chissà che in un prossimo futuro questo ci possa permettere di usare le nostre nuove conoscenze per recuperare cellule cerebrali umane colpite da ictus o infarti.
Con la vostra ricerca cambia il concetto di morte cerebrale?
È una domanda difficile, che coinvolge anche concetti filosofici ed etici oltre a quelli scientifici. Il cervello che noi
abbiamo preservato nella funzionalità non è un cervello vivo, come noi intendiamo la vita, sono gli elementi singoli che sono
vivi, sono i singoli neuroni che risultano essere attivi e vitali, ma l’organo nel suo complesso non risulta vitale. A oggi,
da un punto di vista scientifico, non cambia il concetto di morte cerebrale per un paziente.
Brainex potrebbe essere utilizzato come alternativa nelle trasfusioni?
È un preparato brevettato studiato apposta per mantenere in vita le cellule cerebrali con un mix di bloccanti, non penso che
il passaggio per le trasfusioni sia così immediato. Si può pensare in prospettiva, ma al momento non è stato preso in considerazione.
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