Cultura

Beatitudine della corsa

  • Abbonati
  • Accedi
Danza

Beatitudine della corsa

Spensierati. «Bliss» di Johan Inger (foto di Nadir Bonazzi)
Spensierati. «Bliss» di Johan Inger (foto di Nadir Bonazzi)

È calda l’estate dell’Aterballetto, ed è un bollore che fa bene. La forza, l’energia, la duttilità e la bellezza dei danzatori “disciplinati” di questo gruppo diretto da Cristina Bozzolini, sono il segreto di un successo particolare. Nato alla fine degli anni Settanta, passato attraverso la guida di tre coreografi e tuttora baluardo della danza moderno-contemporanea in Europa e nel mondo, l’Aterballetto merita il consolidato appuntamento d’inizio estate al Teatro Strehler di Milano, e per un periodo così prolungato da dare modo a chiunque di capire l’orientamento artistico del gruppo, da sempre installato a Reggio Emilia e da alcuni anni (dal 2004) nella magnifica Fonderia 39, diventata una delle tre Fondazioni Nazionali della Danza.

A Milano come nelle molte piazze di luglio, l’ensemble ha presentato e altrove presenterà, coreografie di italiani anche poco noti, di interpreti del gruppo votati alla composizione, e infine opere d’autore. Cristina Bozzolini tiene molto a fomentare un vivaio di creatori “di casa”, come Philippe Kratz, o Eugenio Scigliano e Giuseppe Spota, provenienti anche da altre compagnie ma sempre, o quasi, da lei dirette: come il Balletto di Toscana, divenuto Junior. L’assortimento stilistico di grandi, piccoli, medi creatori, proposto dall’Aterballetto, è, a nostro avviso, un retaggio del passato… e la danza cambia in fretta. Il pubblico non riconosce più i nomi dei maestri, persino quelli del secondo Novecento (forse per questo lo svedese Mats Ek ha ritirato tutte le sue encomiabili coreografie?) e non fa grandi distinzioni, in specie quando è in gioco una certa enfasi visiva, una magniloquenza che riempie gli occhi.

Così, il ridondante e interminabile L’eco dell’acqua di Kratz, «dedicato all’anima che viene dal cielo e al cielo se ne va» secondo una poesia di Goethe, come il più organizzato, ma non meno retorico Lego di Spota, - tutto dedito alle relazioni umane vestite di rosso, in una città all’inizio proiettata in radiografia virtuale, - rischiano di surclassare le minuzie sottili e pregnanti di un pezzo dedicato al difficile tema della morte come il duetto 14.20 di Jiří Kylián, indiscusso riferimento nella storia della coreografia odierna.

L’Aterballetto è come una Maserati non dovrebbe, se non in sala prova, o negli spazi laboratoriali, proporsi con alcuni “lavori in corso”: troppo lunghi, esposti a una prolissità incapace di giungere a un focus espressivo certo. Non merita la “mediocrazia” di cui scrive nel suo ultimo libro, il filosofo canadese Alain Deneault, e che ben si proietta anche nel settore artistico, laddove vincono le pratiche abitudinarie, incapaci di creare disturbo, sovvertire regole ormai acquisite e nella danza ve ne sono molte…

Ecco perché di fronte a un lavoro freschissimo, euforico, contagioso come Bliss dello svedese Johan Inger, ogni discussione viene meno. Siamo ai piani alti della composizione coreografica - qui sul rapinoso Köln Concert di Keith Jarrett (primo movimento) -, anche se ciò che si percepisce di questa mirabile novità premiata a Mosca con il “Benois de la danse” si sottrae ad ogni descrizione verbale. Il pezzo al di là del gongolante titolo - Bliss uguale “beatitudine”- è fatto di piccoli e grandi gesti anche furiosi dei diciassette danzatori in costumi casual; c’è chi si frastorna la testa con l’aiuto delle mani che frulla, chi corre, chi saltella all’infinito; chi agguanta, da uomo, una compagna e la trascina per poi mettersela in groppa. Ci sono assoli e piccoli girotondi che ruotano all’incontrario (tratto infantile), qualche rado unisono, una temperatura sempre alta che sale e scende con la musica di Jarrett, in specie nel finale quando tutto si surriscalda e pare esserci un momento di riposo solo sotto il grande padellone luminoso, sospeso lassù nel cielo e che irradia una luce arancione in tutto lo spazio.

La frenetica bellezza sta nella compresenza di movimenti inattesi: nelle corse improvvise, e nella loro perfetta collocazione nello spazio deflagrato, nei tempi sicuri di durata di ogni gesto, nei contrappunti, in quelle braccia a due tese, negli irresistibili duetti di Philippe Kratz e Damiano Artale, coppia formidabile all’inizio del pezzo. Sta in una specie di noncurante spensieratezza bambinesca, basata su quel saltellare quasi calcistico che impegna sino alla fine le gambe di Kratz. Semplicità che giunge al cuore. Già in Rain Dogs, il coreografo, guarda caso allievo di Kylián, e suo successore anche alla testa del Nederlands Dans Theater, aveva creato una pièce su di giri, brillante, pop e colta, come può funzionare oggi, ma Bliss, batte Rain Dogs e offre all’Aterballetto quella Maserati sulla quale dovrebbe sempre viaggiare.

Aterballetto, Teatro Strehler, poi Reggio Emilia, 12 luglio, Roma, 19 luglio, Festival La Versiliana, 23 luglio ecc.

© Riproduzione riservata